Studentessa porca si fa scopare per passare un esame

Gianna, appoggiando dapprima i gomiti, si distese poi con la schiena sulla superficie della 
scrivania. Il Pisani accosto’ nuovamente la bocca alla vagina aperta della ragazza,
riprendendo a leccarla a fondo, spingendo con la lingua sulle grandi e piccole labbra.
Quindi si alzo’ dalla sedia, e, guardando Gianna che attendeva ordini a cosce spalancate,
libero’ il lato destro della scrivania. Quindi, le indico’ la superficie che aveva liberato.
Gianna si sposto’ verso il bordo destro della scrivania, sempre guardando il Pisani. L’uomo
le prese la mano e se la appoggio’ sul membro gia’ nuovamente eretto. Quindi, infilo’ due
dita della mano sinistra nella vagina di Gianna, e due dita della mano destra gliele mise
in bocca. – Nella seduta di domani mattina, la commissione ha organizzato una punizione
esemplare per te, – le disse, iniziando a fotterle bocca e vagina con le dita, mentre
Gianna, senza farselo ordinare, gli massaggiava dolcemente il membro con la mano. – Ma non
ti nascondo che non si tratta qualcosa di esattamente nei limiti del regolamento. Sei libera
di rifiutare di parteciparvi, ovviamente, ma questo non ti portera’ certamente grandi
benefici. E’ chiaro?
Gianna annui’. – Non ho sentito, troia, – disse Pisani, spingendo le dita piu’ a fondo. -
Si’ signore – mormoro’ lei, con voce soffocata. – Bene. Non sono autorizzato a rivelarti
molto, tranne che la commissione ha persino scelto cosa indosserai: un’uniforme da
scolaretta. – Il Pisani sorrise. – Tuttavia, quale tuo relatore, ho il diritto ad apportare
alcune modifiche. – L’uomo sfilo’ la mano dalla vagina di Gianna, e le prese l’orlo di una
delle calze. – Queste restano, – disse. – E anche le scarpe coi tacchi.
L’uomo ritrasse entrambe le mani e si sposto’ vicino alla testa di Gianna, mettendoglielo
nuovamente in bocca. La ragazza lo accolse dolcemente. Quindi, il Pisani lo sfilo’ e giro’
intorno alla scrivania, posizionandosi davanti alla vagina aperta della studentessa. -
Togliti le scarpe, – le disse. Gianna piego’ le gambe all’indietro, una a una, per
raggiungere le proprie scarpe con le mani e sfilarle, lasciandole cadere a terra. Il
professore le mise le mani sulle cosce, e le fece poi scivolare giu’ lungo le belle gambe
ben tornite della ragazza, fino alle caviglie. – Mi hanno sempre arrapato i tuoi piedini,
maialina, – le disse. – Ora posso finalmente togliermi la soddisfazione di scoparli.
Tenendola per le caviglie, porto’ i piedi di Gianna a contatto con il suo membro,
mantenendolo sempre orientato verso la vagina aperta della ragazza. Stringendo i piedi di
lei, inizio’ a farlo scivolare fra le piante dei piedi di Gianna. – Senti come me lo fai
diventare duro? – disse lui, fissandola. – Si, signore, – mormoro’ la ragazza. Mentre si
masturbava fra i piedi di Gianna, Pisani inizio’ ad avvicinare il bacino al ventre di lei,
costringendola a piegare le ginocchia e aprirsi ancora di piu’. L’uomo continuo’ a godersi
la ragazza in quel modo a lungo. Quando fu prossimo all’orgasmo, le afferro’ entrambi i
piedi con una mano, usando l’altra per aprirle le labbra della vagina. Quindi, si abbandono’
al piacere, iniziando a schizzare direttamente nel sesso aperto della studentessa. I primi
due grossi schizzi coprirono la fessura della ragazza di un denso strato di seme. Quindi,
l’uomo deposito’ due nuovi schizzi sulle piante dei piedi di lei, trattenendole attorno a
contatto con il proprio glande.
Quando si fu completamente scaricato, il Pisani sollevo’ le gambe della ragazza verso
l’alto, appoggiandosi i polpacci di lei sulle spalle, e si asciugo’ il membro strofinandolo
prima fra le natiche morbide e accoglienti della studentessa, e poi sulle sue cosce,
insozzandole ulteriormente le calze. Ripulitosi in quel modo, l’uomo si riallaccio’ i
pantaloni e torno’ a sedersi. – Scendi dalla scrivania, – le disse. Gianna obbedi’.
Istintivamente, porto’ una mano alla propria vagina per trattenere il seme che le colava
giu’ per le cosce. Senza neppure guardarla, il Pisani le disse, – togli la mano da li’,
porca.

Iniziazione di una schiava – la prima volta da legata

Lei era ancora nel bagno, e siccome ormai era chiaro dove volesse arrivare, ero più che mai deciso a darle una lezione.
Mi ero stancato delle sue continue provocazioni, e le avrei dato quello che si meritava.
Era da quando la conoscevo che non faceva che punzecchiarmi, e il fatto che io avessi già una ragazza sembrava non turbarla più di tanto.
Da buon amante del Bondage, possedevo delle corde.
A dire la verità con la mia ex ragazza le avevo usate molto poco, perchè lei non condivideva i miei interessi, e si era più che altro lasciata legare per farmi un piacere.
Ma in queste cose se non ci si diverte in due non ci si diverte quasi per niente, per cui, dopo un pò avevo rinunciato.
E dal momento che personalmente non ho mai trovato nulla di stimolante nella pratica del cosiddetto “self-bondage”, quelle corde erano lì da mesi, inutilizzate.
Le presi, quindi, dal mio nascondiglio segreto, infilandole sotto il materasso, poi preparai anche dei fazzoletti ed un foulard di seta che avevo, al solito, acquistato mesi addietro per applicazioni Bondage.
Per buona misura misi a portata di mano anche lo scotch da pacchi, che tuttavia pensavo che non avrei utilizzato.
Mi sedetti, aspettando che finisse di cambiarsi, osservando divertito la chiazza di birra per terra.
Ma guarda cosa è andata ad inventarsi la troietta, pensai!
Avrebbe finito di appoggiarmi le tette sulla spalla quando si chinava su qualunque cosa stessi facendo al mio tavolo, con il pretesto di chiedere informazioni (peraltro cretine), ma con il solo, ormai evidente scopo di provocarmi.
Aveva finito di tirare in ballo l’argomento del sesso, lei per prima anche mentre si parlava di tutt’altro, per poi storcere il naso e schiamazzare “Che schifo! Che schifo” quando la conversazione si scaldava e si tiravano in ballo atti erotici anche di poco al di fuori dell’ordinaria scopatina garbata “lui sopra lei sotto” in pigiama.
Laura, una bella ragazza di qualche anno più giovane di me, occhi grandi e chiari, labbra piuttosto carnose dall’espressione costantemente imbronciata, anche quando sorrideva, e corpo decisamente sensuale nonostante la sua bassa statura, continuava a gironzolarmi intorno.
Non mi era mai stata particolarmente simpatica.
Era una brava ragazza, in linea di massima, ma si rendeva spesso sgradevole, ai miei occhi, a causa del suo carattere e del suo modo di parlare.
Non si lasciava interrompere facilmente parlando a voce molto alta, stridula, senza quasi prendere fiato, come se fosse sempre reduce da una corsa o se stesse comunicando fatti importantissimi.
Era egocentrica fino alla nausea, e ormai ero arrivato alla conclusione che lei fosse convinta che l’intero mondo se ne fosse stato in frigo prima della sua nascita, per poi scongelarsi al solo scopo di fare da sfondo alla sua esistenza.
Era una figlia di papà viziata e capricciosa, esattamente il tipo di persona con la quale non riuscivo a legare.
Insomma, la ritenevo piuttosto infantile, e malgrado il suo aspetto fisico, con una così non mi sarei mai sognato di provarci.
Altri miei amici condividevano il mio giudizio su di lei.
Uno in particolare, una volta mi stuzzicò quando gli chiesi:- Insomma, ti piace Laura?
Lui mi rispose di no.
Io insistetti dicendo che in fin dei conti era una bella ragazza, a parte quel suo modo di fare svampito, e alla fine gli chiesi se almeno per una notte ci sarebbe stato.
– No.
– mi diceva – E’ sempre di corsa, quella lì. Ma te la immagini? Corre per la camera da letto affaccendata e non si decide a dartela, e quando finalmente si infila sotto le coperta… ah, già ce la vedo, che inizia con i suoi urlettini entusiasti dritti dentro l’orecchio, fino a sfondarti i timpani. No, grazie. Ne preferisco una più tranquilla.
– Ma dai! – gli dicevo io.
– Non ci credo proprio che non te la porteresti a letto. Una volta sola, per provare!
– Solo se fosse legata ed imbavagliata.
– Mi rispose lui.
Questa risposta mi fece sorridere, ma devo ammettere che solleticò anche la mia fantasia: l’immagine del corpo di Laura legato con fitti giri di corda che le premevano il seno, oppure dei suoi grandi occhi celesti che imploravano da sopra il bavaglio era veramente eccitante.
Laura non era grassa, ma era piacevolmente rotondetta nei punti giusti, vita sottile e seno abbondante.
Ammetto che un tipo fisico così è proprio l’ideale per le mie fantasie.
Ma solo per quelle!
Quel giorno ero solo in camera, a farmi i fatti miei.
Ero di pessimo umore per l’ennesimo litigio con la mia ragazza, e non volevo saperne niente del mondo esterno, almeno per qualche ora.
Quell’ultimo battibecco al telefono era sembrato definitivo e mi aveva lasciato un cattivo sapore in bocca, così mi ero rifugiato nella mia camera dello stupefatto in cui vivevo, davanti al mio computer, cliccando come un forsennato, consapevole di non avere le conoscenze necessarie per fare tutte le piccole, stupide operazioni che stavo facendo con il sistema operativo.
Probabilmente avrei incasinato tutto, ma non me ne fregava un cazzo!
Quando udii bussare alla porta capii subito che si trattava di lei. Laura, la spaccaballe! Il suo modo di pestare sulla porta il suo pugno, ripetutamente e velocemente (sei colpi in rapida successione) era inconfondibile. Non avevo voglia di vederla, ci mancava solo una come lei, in quel momento! Mi appiattì contro lo schienale della sedia, smettendo persino di cliccare sul mouse, per evitare d’essere udito.

Lei bussò di nuovo, e alla fine fece quella cosa che più di ogni altra mi fa incazzare, cioè provò la maniglia.
Io pensavo d’aver chiuso a chiave, e invece me la ritrovai in camera.
Indossava jeans molto aderenti e una camicia a maniche lunghe, e teneva il casco sotto il braccio:- Ciao! – salutò, con il suo modo spumeggiante che in quel momento, con l’umore che avevo, mi parve irritante come una zanzara nell’orecchio.
– Perchè non hai detto “Avanti”? – chiese, appoggiando il casco sul mio letto.
“Perchè non volevo farti entrare, genio!” pensai, invece risposi:- L’ho detto. Forse non mi hai sentito.
Non mi sforzai di sorridere, continuando a guardare lo schermo.
Merda! Mi si era bloccato il computer!
Ora avrei dovuto riavviare, e per qualche secondo sarei rimasto senza la tranquillizzante visione di tutte quelle icone e quelle finestre aperte sullo schermo che mi facevano sembrare impegnatissimo.
Resettai, rassegnato a dovermi sorbire Laura e le sue eterne domande su dove fosse chi, cosa facesse quell’altro, perchè quell’altro ancora non fosse lì invece che là, se avevo saputo che Tizio aveva detto a Caio che bla bla bla … e soprattutto mi avrebbe chiesto della mia ragazza.
Ne ero sicuro.
Quella volta, stranamente, a parte l’esplosione iniziale di buonumore con quel suo “ciao” spumeggiante, si comportava in modo abbastanza educato.
Se ne stava seduta sul letto, le gambe unite, le manine abbandonate in grembo.
Mi guardava con quei suoi occhioni celesti dalle ciglia lunghissime e sorrideva sinceramente.
Parlava con calma, posata, non fece domande assurde alle quali avrei dovuto rispondere con grugniti e monosillabi, e fu così che mi accorsi che quando non faceva la cretina era una compagnia tutto sommato piacevole.
Dal modo cauto con cui parlava pensai che in qualche modo fosse venuta a sapere del mio litigio con la mia ragazza.
Cercava accuratamente di evitare espliciti riferimenti a lei.
E intanto, mentre parlava, si avvicinava di pochissimo alla mia postazione (che era ai piedi del letto), come per caso.
Ad un certo punto si stiracchiò, e i suoi seni premettero contro la camicia, sporgendo in fuori, mentre lei piegava la testa di lato e tirava le braccia in alto.
Non riuscì a distogliere lo sguardo se non con un grande sforzo, e mi accorsi che sudavo.
Avevo le ascelle bagnate sotto la camicia, e la stoffa mi si attaccava sulla schiena in modo fastidioso.
Pensai che avrei dovuto cambiarmi, ma non era proprio il caso di farlo lì, davanti a lei.
Avrei aspettato che se ne fosse andata.
A proposito, era in camera mia da quasi un ora, ormai, che aspettava? Non aveva niente di “urgente” da sbrigare altrove? Nessun pettegolezzo da riferire a qualcun altro? Possibile?
Se non avessi saputo che lei sapeva che io avevo già una ragazza che nonostante tutto amavo, malgrado qualche tempesta di tanto in tanto, e che sebbene fossi sempre stato attratto dalla bellezza femminile le ero sempre stato fedele durante quei due anni, avrei pensato che stava prolungando la sua permanenza in camera mia di proposito.
Ma poi perchè stupirsi? Laura era una troietta, diciamolo.
Ci stava provando? Con me? Era tutta da ridere!
Intanto io facevo del mio meglio per parlottare con lei, come una partita a ping pong in cui io partecipavo solo allo scopo di rimandare indietro la pallina perchè il mio avversario potesse continuare a divertirsi.
Ad un certo punto lei iniziò la commedia che doveva essersi preparata a casa, tanto risultava artificiosa e banale.
Aveva veramente molto caldo, e si apriva di continuo lo scollo della camicia, sventolandosela.
Il triangolo di pelle nuda che si vedeva era arrossato e levigato.
Aveva una gran sete. Mi chiese se avessi della birra.
Io indicai il frigo.
Lei commentò dicendo che io avevo sempre della birra, io riposi “già”.
Quando si chinò a prendere la birra lo fece senza piegare le gambe, e sebbene avesse veramente un culo favoloso (quella era la sua parte del corpo migliore, la seconda era il seno, le gambe non erano gran chè, motivo per il quale portava quasi sempre pantaloni), io distolsi lo sguardo scuotendo la testa.
Cominciavo a sentire puzza di bruciato, ed ero anche molto divertito da questi (a quel punto stiracchiarsi in quel modo non era stato un caso), ora evidenti quanto grossolani, tentativi di sedurmi.
Ero curioso di vedere dove sarebbe andata a parare.
Aprì la birra in modo maldestro e alcune gocce di schiuma le atterrarono sulla camicia.
E infine, come un finale prevedibile di un film, mentre cercava di bere trovò il modo di versarsi addosso la lattina.
Sussultò.
Probabilmente non aveva previsto che versarsi sul petto in piena estate una birra gelida, anche attraverso la stoffa, è un autentico shock.
E finalmente divenne la Laura che avevo sempre conosciuto: iniziò ad agitarsi, a ridacchiare, era veramente una imbranata, diceva.
Io scuotevo la testa, e a quel punto non me ne fregava niente, e mi godevo la vista di quei seni che ballonzolavano sotto la camicia bagnata.
Non fui troppo sorpreso nell’accorgermi che non portava il reggiseno.
Una troietta, ve l’ho detto.
Alla fine la stoccata finale.
Doveva tornare a casa in quello stato? Oh, no! Non avevo per caso una camicia da prestarle?
Avrebbe potuto chiedermi, una maglietta, invece mi chiese proprio una camicia.
Non mi piaceva prestare i miei abiti, ma non volevo nemmeno sciuparle quella recita, così le indicai l’armadio, come prima le avevo indicato il frigo.
Lei scelse una camicia celeste, guarda caso la mia preferita, e probabilmente la scelse proprio perchè me l’aveva vista addosso un po’ più spesso.
Poi si infilò in bagno.
Io guardai la piccola pozzanghera di birra, per terra, indeciso se ridere o meno.
Quando uscì dal bagno portava la mia camicia annodata sotto il seno.
Era piuttosto grande per lei, e se l’avesse tenuta fuori dai pantaloni le sarebbe arrivata fin quasi alle ginocchia.
Aveva i primi bottoni slacciati, ma anche questa non era una sorpresa.
– A posto? – le chiesi.
Lei doveva essere veramente molto eccitata.
Mentre cercava di appendere la gruccia con la sua camicia bagnata di birra al pomello dell’armadio, le cadde due volte di mano.
Si offrì di pulire lei la pozzetta di birra.
Le dissi “lascia perdere”, giusto per dire, ma in realtà sapevo che anche quello era previsto.
Prese uno straccio, e si chinò ed ovviamente l’apertura della camicia, mentre era chinata lasciata generosamente vedere i suoi seni grossi, duri, abbronzati, immersi nella penombra della scollatura.
– Fatto, – annunciò. Mentre stava per allontanarsi, le afferrai teatralmente il polso, tirandola a me.
Lei avvampò, lasciando cadere lo straccio per terra. Il suo SPATCH risuonò nitido nel silenzio.
Non dissi nulla, mentre la guardavo negli occhi.
Lei invece non riusciva a reggere il mio sguardo, e mi guardava ora le labbra, ora il naso, ora le guance barbute.
I suoi occhi indagavano il mio volto, e alla fine dovette per forza leccarsi le labbra.
Aspettava che fossi io a prendere l’iniziativa?
Incredibile.
Dopo tutto quello che aveva fatto fino a quel momento, aveva pure il coraggio di volermi far prendere l’iniziativa! L’accontentai.
Presi l’iniziativa bloccandole anche l’altro braccio, e tirandola a sedere sulle mie ginocchia.

– Laura, sei una puttanella! – dichiarai.
Lei mi guardava a metà fra lo stralunato e il sofferente.
La baciai profondamente, ed immediatamente la sua bocca fu spalancata e pronta a ricevermi, affamata, avida.
Le sue mani si intrecciarono dietro la mia nuca, il suo seno premeva contro il mio petto.
Era veramente molto sodo.
Dieci minuti dopo eravamo ancora lì, a limonare.
Io ero stupito dalla sua foga.
Mi baciava come se avesse trascorso sei mesi nel deserto, e ora dalla mia labbra e dalla mia lingua potesse succhiare tutta l’acqua fresca che aveva desiderato mentre il sole le cuoceva la testa.
Non mi lasciava neppure respirare.
La spinsi sul letto, e lei mi tirò su di sè, decisa più che mani a riprendersi la mia bocca, come se le spettasse di diritto.
Ormai ero completamente coinvolto anche io, e le artigliavo i seni, premendoli, strizzandoli, con voluta violenza.
Non le facevo male, ma ugualmente il mio tocco non era certo delicato.
Lei mugolava nella mia bocca, continuando a contorcersi sotto di me, assaporando con il suo inguine la mia erezione.
Io facevo del mio meglio per faglielo sentire su tutto il bacino, ed iniziavo a desiderare di penetrarla ora, subito, ma dovevo aspettare.
Dovevo darle una lezione, non solo scoparla, come voleva lei.
Lei si era già sbarazzata delle sue scarpette da ginnastica, ed io le slacciai i jeans.
Glieli sfilai con non poca fatica.
Le sue mani frugavano, cercando di togliermi anche i miei, di jeans, ma non volevo che mi spogliasse, per cui le presi il polso e glielo portai sopra la testa.
Nel frattempo, il mio vicino di stanza era rientrato.
Il mio vicino conosceva sia me che Laura, che la mia ragazza, e non avevo decisamente voglia d’essere sentito attraverso le sottili pareti.
Laura, al contrario, sembrò infervorarsi di più, iniziando a mugolare di piacere mentre con la patta rigonfia le premevo sul pube fasciato di sottile cotone bianco.
La solita Laura. “Laura sta scopando nella stanza accanto! Udite, udite!”
I suoi gemiti, ad un certo punto, iniziarono a diventare sempre più frequenti, e anche il volume iniziava a farmi temere che il vicino di stanza potesse udire.
Tanto peggio per lei, e tanto meglio per me, pensai.
Presi il fazzoletto da sotto il materasso, cercandolo con le dita di una mano, mentre con l’altra le tenevo la testa ferma premendole la bocca sulla bocca, mi staccai rapidamente da lei e le caccia il fazzoletto fra i denti.
Lei sgranò gli occhi sorpresa da quella presenza estranea.
Cercò di sputare via il fazzoletto, ma le tenni una mano sulla bocca, sussurrandole paroline senza troppo senso all’orecchio, per ammansirla.
Lei chiuse gli occhi, ed accettò il fazzoletto, così io presi il foulard e la imbavagliai rapidamente.
Lei parve sorpresa e confusa, ma tutto sommato non mi sembrava dispiaciuta.
Lentamente la feci voltare, e iniziai a legarle i polsi saldamente.
Parve non accorgersi di ciò che stavo facendo, perchè mentre la facevo non smettevo di baciarle il collo.
Più di una volta, con il suo solito fare da troietta mi aveva detto che il collo era la sua parte più sensibile, come se a me dovesse fregarmene per forza qualcosa.
Ah, avrebbe avuto la sua lezione, pensai, e strinsi i nodi bloccandole le braccia dietro la schiena.
Quando si ritrovò così legata, e la rigirai verso di me parve confusa.
Io mi alzai, i vestiti in disordine, per osservarla, e vedendosi sola, rendendosi conto d’essere legata saldamente non certo per gioco, iniziò ad innervosirsi, divincolandosi nel tentativo di liberarsi le mani.
Tuttavia mi parve di cogliere qualcosa, nel modo in cui socchiudeva gli occhi, torceva il collo, e mugolava… qualcosa che interpretai come piacere.
Dunque le stava piacendo essere lì, in mia balia.
Ma era ancora ben lungi dall’essere legata in modo saldo, con le gambe ancora libere.
I suoi mugolii erano calati di tono.
Non solo per il bavaglio.
Sembrava finalmente aver capito che a pochi centimetri di distanza, oltre la parete, c’era qualcun altro dal quale doveva evitare di farci udire.
Io sapevo che non l’aveva scoperto solo ora, per cui mi immaginai che stesse facendolo per stare al gioco, mugolando senza troppa energia, come se mi stesse implorando di toglierle il bavaglio, temendo, nello stesso tempo che potessi darle retta e liberarla sul serio.
Presi l’altra corda da sotto il letto, e questo la preoccupò di più.
Sgranò gli occhi, guardandola, probabilmente chiedendosi dove volessi arrivare.
Fino in fondo, pensai.
Fino in fondo.
Iniziai a legarle le braccia al busto, passando la corda sopra e sotto i seni e stringendo forte.
Sapevo che in realtà non avrebbe opposto resistenza, e che dietro quella sua apparente ritrosia in realtà si celavano voglie inconfessate.
Ed io avevo bisogno che fosse del tutto immobile per fare quello che avevo in mente.
Le legai anche le gambe e le caviglie, affondando la corda nelle sue carni morbide.
La feci alzare dal letto e la obbligai ad inginocchiarsi.
Lei eseguì adagiandosi per terra.
Quindi la bendai con l’ultimo fazzoletto rimastomi.
Le dissi che ora le avrei tolto il bavaglio, e che non ci pensasse nemmeno a farsi sentire dal nostro vicino.
Lei parve capire.
Quando si è seminude, legate e bendate, dare spiegazioni ad un estraneo sopraggiunto all’improvviso è molto più imbarazzante.
Le tolsi il bavaglio, e lei trasse una profonda boccata d’aria.
Stava per dire qualcosa, ma non mi interessava, e prontamente le infilai in bocca il mio pene.
Lei reagì con un “Mmmmmmmgh” risentito e sorpreso.
Cosa si aspettava che facessi? Il pompino era uno di quelli argomenti sui quali si era sempre pronunciata in termini negativi, definendoli atti contro natura.
Avrebbe imparato molto, dopo quella giornata, sugli atti contro natura.
Poco ma sicuro.
Non ho un cazzo enorme, ma nella sua bocca sembrava gigantesco, riempendola del tutto.
Lentamente, aiutandomi con le mani, iniziai ad andare e venire dalla sua bocca.
Lei, in effetti, mi parve un pò inesperta, o forse era perchè non si aspettava di dovermi fare un pompino, immaginandosi che, infocato come secondo lei ero, l’avrei scopata senza troppe chiacchiere, lì sul letto.
Ogni tanto, con i denti mi sfiorava il glande, facendomi un pò male, ma potevo sopportare.
Alla fine parve trovare il ritmo ed adattarsi, ed entrare ed uscire dalle sue labbra divenne sempre più piacevole.
Legata e bendata, in ginocchio ai miei piedi, mi spompinava, ora, con una certa maestria.
Forse mi ero sbagliato a definirle un pò inesperta.
Sta a vedere che nonostante quello che lei stessa aveva dichiarato (“non faccio queste cose! E non le voglio fare! Che schifo!”) quello non era nemmeno il suo primo pompino.
Stavo per venire, e con un enorme sforzo di volontà mi staccai dalla sua bocca.
Lei parve sentirsi persa, e di nuovo stava per parlare.
La imbavagliai nuovamente, e questa volta accettò molto meno volentieri il bavaglio.
– Avrai una sonora lezione, puttana! – le dissi.
Lei mugolò, stavolta troppo forte, ed io le afferrai i seni, sotto la camicia, e strinsi.
Non volevo farle male ma strinsi abbastanza perchè capisse che ora lo stavo facendo nell’intenzione di minacciarla:- Non farti sentire, capito?
Lei annuì vigorosamente.
Ero sicuro che se non avesse avuto il bavaglio, in quel momento avrebbe detto “Sì, padrone”.
La sollevai in piedi, e le slegai le caviglie e le ginocchia.
La portai fino al tavolo.
Lei continuò a mugolare, agitando il capo, ma mi seguì senza opporsi, e si lasciò mettere come io volevo, con il busto piegato sul piano, a pancia in giù.
Utilizzai la penultima fune passandogliela sotto le ascelle e tirando finchè non fu legata anche al pianale del tavolo, infine, con l’ultima corda, le legai le caviglie alle gambe del tavolo, in modo che le si mantenessero divaricate le cosce.
Io ero sudatissimo e deciso più che mai a portare a termine la mia missione.
Lei era legata in quella posizione al tavolo, con le cosce aperte e il culo sporto in fuori.
Con la testa posata di lato sul legno freddo respirava dal naso.
Le tolsi la benda.
Mi guardava con i suoi occhioni pieni di libidine e soggezione.
Infilai un preservativo lubrificato, perchè non disponevo di altri lubrificanti.
Mi chinai ed iniziai a leccarle l’ano, piano piano.
Lei parve gradire, e i suoi mugolii si fecero sottili e ritmati con la mia lingua.
Con la mano le solleticavo la vagina.
I suoi peli pubici erano imperlati di goccioline.
La tipa stava evidentemente gradendo molto quel trattamento.
Le tolsi la benda, deciso a non perdermi il colore dei suoi occhi in quel momento, nè la sua espressione smarrita e timorosa, ma anche eccitata.
Iniziai ad aumentare il movimento della mano, stavolta infilandole due dita dentro la vagina.
Lei godeva, scuotendo la testa, mugolando, serrano gli occhi.
I suoi pugni erano due nodi duri e bianchi nella curva incavata dalla schiena.
Io puntai la mia cappella sul suo ano, e lei smise persino di respirare, pensando che stessi finalmente per penetrarla dove natura comanda.
Invece le sfilai le dita dalla vagina, aprendole il più possibile le chiappette bianche e burrose.
Finalmente capì, irrigidendosi all’istante.
Iniziò a mugolare, il tavolo cominciò a vibrare mentre lei si divincolava per liberarsi.
Ora diceva:- Mmm! Mmm Mmmmm. – “No, no, nooo” avrebbe certamente voluto dire. Decisamente aveva
capito.
– Shhh! – le feci io.
– Ti piacerà, come tutto il resto! – E lentamente iniziai ad affondarle nel culo, un pò per volta, sentendo molta resistenza.
Probabilmente da quella parte era veramente vergine.
A dire la verità mi ero aspettato meno resistenza, invece il suo buchino era proprio piccolo.
Pazienza, ci sarebbe voluto un pò di più, ma non avevo fretta.
Capendo che non mi sarei fermato smise di mugolare.
Torceva il capo e gli occhi al massimo, per potermi guardare, quasi che guardandomi avesse potuto convincermi a desistere.
Niente di più sbagliato; al contrario, il suo sguardo smarrito ed implorante mi scaldava di più.
Adesso il dolore la stava facendo mugolare veramente forte.
Il suo volto era arrossato, e stringeva gli occhi, oppure li spalancava all’improvviso.
– Nessuno è mai morto per questo! – le dissi, continuando a spingere.
Ora ero dentro per metà, ma volevo, naturalmente arrivare ben oltre.
Sentivo i suoi tessuti avvolgermi rigidamente.
– Non fare resistenza. Se ti rilassi ti fa meno male, non dirmi che è la prima volta! – e risi.
Lei, dopo una resistenza iniziale, cercò come poteva di lasciarsi andare.
Chiuse gli occhi, mentre alcune lacrimucce le scioglievano la matita degli occhi.
Ed entrai del tutto con un unico movimento lento e continuato, che iniziò ad essere accompagnato da un lunghissimo mugolio da parte di lei, senz’altro di dolore.
Aveva delle lacrime agli occhi, adesso, ed io ero completamente dentro.
Iniziai delicatamente a pompare, dentro e fuori, dentro e fuori.
I suoi lamenti si fecero sempre meno insistenti, poi svanirono del tutto, ed ora la sentivo solo mugolare delicatamente, più o meno come quando, poco prima, le avevo leccato il buchetto.
Dopo qualche paradisiaco minuto, mi resi conto che stavo di nuovo iniziando ad aumentare la velocità dei miei movimenti, desideroso di venire.
Dovetti fare di nuovo un grande sforzo per fermarmi.
Uscì da lei, e le slegai le caviglie e le corde che la tenevo da sotto le ascelle.
Sulla sua pelle scura erano visibili i segni delle corde.
Io non avevo stretto molto forte, ma lei doveva essersi agitata parecchio, provocandosi anche un paio di leggere abrasioni sulle spalle.
La rifeci inginocchiare.
Da quando aveva serrato gli occhi ad ora non gli aveva ancora riaperti, e stavolta, quando le tolsi il bavaglio, non fiatò.
Io le infilai con decisione in bocca il pene, dal quale avevo già rimosso il preservativo, provando quel sollievo e quella sensazione di piacevole freschezza che si prova quando finalmente lo si toglie.
Lei succhiò avidamente, quasi con gratitudine, ed io pompai, finchè, non esplosi, inondandole il volto, i capelli, gli occhi.
Non le chiesi io di ingoiarlo, semplicemente perchè non ci avevo pensato, lì per lì, ma lei mi sorprese, perchè iniziò a farlo di sua iniziativa, protendendosi in avanti per riprenderselo in bocca e ripulirmi per bene.
Io le premetti una mano dietro la nuca, obbligandola a rimanere in quella posizione con il mio pene che tornava a riposo dentro la sua bocca.
Lei mugolava e succhiava, come se mi stesse baciando ed avesse in bocca la mia lingua, invece che il mio pene.
Io, che dopo l’orgasmo divento molto più sensibile, sussultavo, ma per nulla al mondo avrei tolto il cazzo da lì dentro.
Rimanemmo così alcuni minuti, lei inginocchiata, ed io in piedi, ad accarezzarla quasi con affetto i capelli, poi uscì da lei.
Dopo averla nuovamente imbavagliata, la aiutai di nuovo ad alzarsi e la feci distendere.
Lei non sembrava delusa, ma non sembrava nemmeno del tutto soddisfatta.
Io dal canto mio ero spossato, ma non volevo neppure trattarla del tutto come una puttana, lasciandola inappagata.
Le allargai le gambe, ed infilai la testa fra le sue cosce, iniziando a leccarla.
Era una cosa che mi era sempre piaciuta fare, per cui avevo una certa esperienza.
Lei aveva un profumo ed un sapore deliziosi.
Andai avanti in questa piacevole pratica per qualche minuto, aiutandomi con le dita.
Poco dopo sentì la sua vagina contrarsi intorno alla mia lingua affaticata, il suo corpo che veniva scosso da sussulti, e lei che mugolava irrigidendosi ed arrossendo fra le ondate di un orgasmo che pareva non dover più finire.
Mi sollevai.
Cazzo, era la prima volta che una ragazza veniva mentre la leccavo, e fui soddisfatto anche se mi rendevo conto che quella reazione dipendeva da tutte le altre sollecitazioni che aveva avuto, non tanto da quell’ultima.
Si accasciò sul letto, ancora legata ed imbavagliata, chiudendo gli occhi.
Io non mi distesi accanto a lei, accendendomi una sigaretta e sedendomi di spalle al letto, per guardare fuori dalla finestra.
La sedia era gelida sotto il mio culo arroventato.
Mi girai a guardarla, con le sue belle forme strette fra le corde, il volto ancora chiazzato di liquido seminale, le gambe aperte che avevano ancora qualche strisciata rossa causata dalle corde.
In quel momento mi parve per la prima volta bellissima, e desiderabillissima.
Mi chiesi a cosa stava pensando con gli occhi chiusi e il respiro affannoso.
Non mi aveva ancora nemmeno chiesto di slegarla o di toglierle il bavaglio.
Ma mi immaginai che dal giorno dopo molte cose sarebbero cambiate, in lei.
Forse avrebbe smesso di fare tanto la schizzinosa, avrebbe smesso di provocarmi.
O forse no.
Forse pensando di darle una lezione avevo in realtà fatto esattamente ciò che lei da anni, perversamente desiderava.
In fondo aveva palesemente goduto nell’essere presa in quel modo, nell’essere immobilizzata, persino sodomizzata.
Intanto avrebbe avuto il dolore al culo per ricordarsi di me nei giorni a venire.
Io, ignorandola del tutto, feci la doccia, poi uscì dal bagno per asciugarmi e rivestirmi.
Mentre mi infilavo una camicia pulita mi accorsi che adesso mi stava guardando di nuovo, con quei suoi grandi occhioni celesti da bambina.
Non mugolava, non si dimenava nel tentativo di slegarsi.
Mi guardava e basta.
– Io esco! – annunciai, con grande naturalezza.
Lei spalancò gli occhi, incredula.
Intendevo lasciarla sola? Già.
Le lasciai le chiavi sul tavolo, sullo stesso tavolo sul quale l’avevo inculata.
Mi accorsi che sul ripiano bianco e lucido c’era ancora la macchia del suo sudore che andava asciugandosi.
– Puoi slegarti da sola – le dissi.
Lei riprese a scuotere il capo, ma non mi pareva che nei suoi occhi ci fosse tutto questo desiderio di libertà.
– Quando vai via chiudi la porta e metti le chiavi sotto lo zerbino.
– Mmmmph! Nnngh! – fece lei, più che mai inquieta e nervosa.
Aveva capito che non scherzavo, e che lasciandole le chiavi sul tavolo, la porta non sarebbe stata chiusa a chiave, mentre io ero via e lei era immobilizzata sul letto, per cui doveva se non altro cercare di sciogliersi alla svelta e rivestirsi.
Giusto per evitare guai, le allentai un pò i nodi del bavaglio.
Senza troppo sforzo se lo sarebbe potuto togliere da sola senza usare le mani.
Notai che nonostante non stringesse più come prima, lei continuava a tenerselo lì, come se le dispiacesse separarsene.
Uscii di casa, nella canicola di quella domenica pomeriggio di luglio accompagnato dal brusio gracchiante dei commentatori sportivi che filtrava dalle finestre.
In quel momento capì che forse avrebbe trovato il modo di sciogliersi, o forse, visto che aveva le gambe libere, di raggiungere la porta e chiudere a chiave in qualche modo, finchè non si scioglieva con calma senza correre il rischio che qualcuno, come lei aveva fatto mille anni prima, piombasse in camera mia senza attendere l’Avanzi.
Si, forse avrebbe fatto una di queste cose, ma non sarebbe andata via.
Questo l’avevo capito.
Poco ma sicuro, non sarebbe andata via.
Le tipe come lei sono incapaci di imparare una lezione.