Schiena nuda a prendere la frusta

In effetti credo che nei tre anni passati a Torino oltre che il mio rispetto per la disciplina si fossero andati affievolendo anche e soprattutto i miei istinti masochistici. Me ne resi conto una sera, pochi giorni dopo essere ritornato, quando mia madre mi fece frustare in presenza delle zie. Eravamo seduti a tavola e si stava parlando di andare a visitare le zie (che vivevano fuori porta) la domenica successiva.
Non so che mi passò per la testa, ma a un certo punto mi presi la libertà di dire che io avrei preferito rimanere a casa. Il Regolamento non era ancora stato introdotto, ma anche il vecchio Programma prevedeva una punizione esemplare per un atto di insubordinazione come quello. Quando ebbi terminato di parlare, mia madre mi ordinò di portarle lo staffile e di andare a mettermi contro la parete della sala; poi la udii dire a mio padre di frustarmi. Dovetti abbassarmi i pantaloni e le mutande e presentare il sedere nudo alla frusta sotto la vista di tutti. Improvvisamente mi resi conto che il mio cazzetto non era già duro come sempre; colla faccia al muro, in piedi, mio padre cominciò a frustarmi, ma fu solo verso il cinquantesimo colpo di staffile che il cazzetto cominciò a indurirmisi un pochino.
Tuttavia, quando mio padre terminò e mi ordinò di andare in camera mia, non ebbi nemmeno bisogno di coprirmi il pube perché non avevo nessuna erezione da nascondere. E quando mi sdraiai sul letto per provare a spararmi una sega, mi accorsi che i brividi che mi percorrevano le natiche e le cosce non si trasmettevano alla mio cazzetto flaccido perché, per la prima volta da anni, non erano brividi di piacere ma solo di dolore. Non mi eccitava l’idea di essere stato frustato davanti a tutti e cominciavo anche a capirne il motivo. La colpa era del trattamento al quale mi aveva abituato il collega di mia zia. Quando mi frustava, infatti, l’elemento umiliazione era quasi del tutto assente: il rito del castigo non aveva in sé nulla di terribilmente umiliante. Quando decideva di picchiarmi, apriva un cassetto, ne estraeva una cinghia di cuoio e mi ordinava di togliermi la camicia e voltarmi perché mi avrebbe frustato. Non mi insultava né umiliava verbalmente, così come non mi obbligava ad abbassarmi i pantaloni e le mutande o denudarmi completamente, perché non mi frustava mai il sedere ma solo la schiena. L’unico aspetto leggermente umiliante consisteva nel dovergli succhiare l’uccello (o talvolta prenderlo nel sedere); ma dopo le esperienze vissute coi miei compagni di università, mi ero abituato a succhiare uccelli, e la cosa non mi dispiaceva nemmeno troppo. Anzi.
Mentre ricordavo questi dettagli sdraiato nel letto al buio, pensai che la prima cosa da fare era tentare di riabituarmi subito alla frusta. I miei non mi avrebbe lasciato andare via di casa una seconda volta, per lo meno non permettendomi poi di ritornare; per conseguenza, se fossi restato, avrei dovuto riapprendere alla svelta il gusto di essere frustato e umiliato quotidianamente. Mi resi conto che il punto di partenza avrebbe dovuto essere quello di provocare le punizioni, allo stesso tempo cercando di fare in modo che fossero il più umilianti possibile.
Per questo, il mattino seguente appena sveglio decisi di spararmi una sega e sporcare le lenzuola in modo che mia madre lo notasse e mi battesse. E così fu. Appena entrata, mia madre notò la macchia di sborra sulle lenzuola; senza dire una parola andò a prendere il battipanni. Quando tornò mi fece mettere a quattro zampe sul letto e cominciò a sculacciarmi le natiche nude col battipanni. Riconobbi immediatamente il sapore agrodolce dell’umiliazione, perché mia madre prese a sgridarmi mentre mi scorticava le natiche.
“Porco! … SSSVVLAAN! SCIACCK! SCIACCK! … sei un maiale! … SCIAACK! … adesso ti aggiusto io! … SSSVVLAAN! SCIACCK! … sei un maiale disgustoso! … SSSVVLAAN! SCIACCK! … con te bisogna adoperare la frusta … SSSVVLAAN! SCIACCK! … adesso ti faccio frustare da tuo padre … SSSVVLAAN! SCIACCK! SVLAANSCIACCK! SCIACCK! SCIACCK! … maiale!”
Al decimo colpo sentii le lacrime spuntarmi agli occhi, non per il dolore ma perché mi accorgevo di essere eccitatissimo: avevo il cazzetto duro come il granito, e ad ogni sciack! del battipanni sulle natiche sentivo un brivido familiare percorrermi il sedere fino alla punta del glande. Quando mia madre terminò e uscì dalla mia stanza avevo il culo in fiamme: mi alzai e andai a guardarmi nello specchio e vidi che le natiche erano diventate una massa rossa e incandescente.
Mio Dio, che voglia avevo di spararmi una sega! Ma improvvisamente ricordai che mia madre mi aveva detto che mi avrebbe fatto frustare da mio padre. E promesse di questo tipo venivano sempre mantenute, per cui rimasi fermo ad aspettare e, guardandomi le natiche rosse nello specchio, cominciai a pensare che cosa sarebbero state dopo una sessione di frustate. Quando mio padre entrò con lo staffile in mano mi resi conto che l’avrei saputo ben presto.
“Sdraiati sul letto ché ti frusto!”
Obbedii e mi sdraiai a pancia in giù sul letto strusciando il glande sulle coperte. Ero sempre più eccitato! Sollevai bene il sedere nudo perché mio padre me lo frustasse a dovere. Poi mio padre cominciò a frustarmi sulle natiche e sulle cosce.
“Sei un indecente … SWISHHHSCIAK! … vediamo … SCIACK! SCIACK! SCIACK! … se a suon di … SCIACK! SCIACK! … frustate …
SCIACK! SCIACK! SCIACK! … ti passerà il vizio … SCIACK! SCIACK! SCIACK! … di masturbarti … SWISHHHSCIAK! SCIACK! SCIACK! SCIACK! … maiale!”
A poche frustate dalla fine venni come un maiale in calore, sussultando e riuscendo a far coincidere ogni schizzo di sborra con ogni staffilata che ricevevo sulle natiche ormai in fiamme. Strusciando l’uccello nel lago di sborra appiccicoso ricevetti le ultime 20-25 frustate e ogni schiocco sulla pelle nuda riusciva ancora a darmi brividi di voluttà. Erano proprio le ultime frustate sulla schiena nuda che mi facevano venire.

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