Frustate sedere

Continuazione del capitolo Sei..

Che il mio rispetto per l’autorità si fosse molto affievolito lo notai appena tornai a casa dai miei genitori: parlavo senza essere stato interpellato, esprimevo giudizi, quasi mi ribellavo quando mio padre mi frustava. Credo che a questa insofferenza allora contribuì non poco anche il fatto che mio padre e mia madre mi avevano obbligato ad iscrivermi di nuovo all’università: in effetti mi sentivo molto umiliato nel ritrovarmi seduto a un banco e insieme a compagni di classe che avevano tutti almeno dieci anni meno di me. Ma ciò che più mi umiliava in assoluto era l’aver ritrovato Clotilde come assistente di uno dei professori. Avevo saputo che, nonostante che l’uomo con cui si era divertita ad umiliarmi anni prima si fosse sposato con un’altra, erano rimasti amanti. Più volte lei stessa mi aveva espresso il desiderio di ritornare a vederci … per rivivere i vecchi tempi, aveva aggiunto con sarcasmo.

Comunque fosse, in meno di due mesi dal mio ritorno mio padre e mia madre si resero conto che il vecchio Programma di Disciplina Morale non serviva più e furono costretti a mettere in vigore quello che si chiamò Regolamento di Disciplina. In base al Regolamento mi veniva impedito di uscire di casa al di fuori dell’orario di università se non con un permesso scritto e firmato da entrambi i genitori, di fare o ricevere telefonate e corrispondenza e di mantenere relazioni di qualsiasi tipo con chicchessia. Inoltre, quando non dovevo svolgere compiti in casa, avevo l’obbligo di rimanere in camera mia in attesa di ordini. La punizione settimanale fissa venne raddoppiata, introducendo una sessione di cento colpi di battipanni che mia madre mi somministrava ogni domenica sulle natiche nude.
Al principio, stiamo parlando di qualche mese fa, fa il ritorno improvviso ad un regime di disciplina così duro rappresentò un trauma non indifferente. Come ho detto, appena tornato quasi mi ribellavo quando mio padre decideva di frustarmi. A questo proposito, in particolare, ricordo che un giorno mio padre decise di punirmi colla canna. Ciò non rappresentava certo una novità ne tanto meno alcunché di strano, visto che spesso era accaduto fino a due anni prima che mio padre mi bastonasse il culo nudo colla canna semplicemente perché lo riteneva opportuno.

Come di prammatica mi misi in piedi al centro della mia stanza ad aspettare, con i pantaloni e le mutande abbassate e le braccia appoggiate sulla testa. Mentre aspettavo di sentire entrare mio padre cominciai a pensare come sarebbe stato ricevere la canna a culo nudo dopo due anni di astinenza, e mi scoprii a pensare che, comunque fosse stato, non provavo nessun brivido di eccitazione all’idea di essere bastonato di lì a poco: mi sentivo solo umiliato. Poi mio padre entro, mi si avvicinò e appoggiò la canna di bambù alle mie natiche, prendendo a picchiettarmele mentre mi diceva di non muovermi se non volevo che mi bastonasse anche la schiena. Mi sentii talmente umiliato che addirittura abbassai le braccia e feci per rimettermi i pantaloni.
Ebbi il modo di pentirmene amaramente.

Dopo avermi spogliato nudo mio padre mi trascinò in cantina e mi legò i polsi ad una delle travi del soffitto. Dondolando, ricevetti quella che fu forse la punizione più dura della mia vita. Con lo staffile di cuoio di due metri mio padre mi frustò a sangue, strappandomi letteralmente la pelle dal corpo. Ogni frustata mi avvolgeva come una lingua di fuoco e il nodo finale dello staffile mi martoriava i capezzoli ad ogni colpo. Quando terminò mi lasciò penzolando dal soffitto ed uscì annunciandomi che non era finita. Poco dopo vidi entrare mia madre, con in mano la spazzola colla quale mi sculacciava abitualmente, la canna di bambù e il nerbo di bue.

Ricevetti frustate sedere nudo con tutti e tre quegli strumenti per tutto il pomeriggio.

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