La disciplina è severissima. Basta un niente, una parola, uno sguardo, un gesto e le “ospiti” sono avviate alla punizione.
Al piano terra del castello c’è un locale non molto ampio, con una sola colonna al centro dell’ambiente, intonacata di bianco. E’ a questa colonna che viene legata quella che dev’esser punita. Ella è nuda, abbraccia la colonna ed i polsi le vengono legati con ruvide corde; anche le caviglie sono strettamente avvinte insieme. Un’altra corda le viene passata intorno ai fianchi ed assicurata alla colonna: serve per evitare movimenti inconsulti, sculettamenti e cose simili.
Quando la donna è ben legata, la si punisce. Esistono vari tipi di bacchette e di verghe, alcune sottili, altre più spesse.
Con tali attrezzi la guardiana o il guardiano all’uopo delegato colpisce i glutei dell’ “ospite” per il numero di volte stabilito, mai meno di 20 ma che può arrivare fino a 100, nei casi più gravi. Alle punizioni, assiste sempre il Direttore, cioè io!
Una volta, notai che un guardiano metteva poca forza, poca voglia nel percuotere un’ “ospite”, in verità nulla d’eccezionale, una 35enne secca secca. A mala pena si notavano i segni delle vergate sulla pelle arrossata. Lì per lì non dissi niente e la blanda punizione ebbe termine. Due ore dopo, convocai il guardiano nel mio ufficio. Lo feci confessare: egli era quasi innamorato di quella prigioniera! E perciò non aveva voluto colpirla il giusto. Prima di cacciarlo via dal castello, gli feci passare la Ronda. Il guardiano colpevole agli occhi del Direttore, sia esso maschio o femmina, si denuda dalla cintola in giù e si piega sul tavolo, in modo che il suo deretano sia ben esposto. A turno, tutti i colleghi, maschi e femmine, si mettono in fila e, stringendo in mano la pesante cintura d’ordinanza,su quel deretano applicano due cinghiate ciascuno con la loro massima energia. Terminata la sfilata dei subalterni, il Direttore conclude l’opera in base alle sue convinzioni. E in quell’occasione io fui particolarmente energico.
Anche per le ospiti esiste una cerimonia simile e l’adopramo soprattutto per le anziane. Ci pensano un paio di guardiane, qualche giorno prima che l’ospite dev’essere dimessa. Nella sua cella, in piena notte. La legano bocconi alla branda, la denudano e le danno una cinghiata per ogni mese di permanenza dell’ospite al castello. E’ sempre la fibbia della cintura che deve andare a colpire la pelle, in questa circostanza. In un certo senso, le ospiti che ricevono le cinghiate notturne, dette il “Viatico”, sono contente perché sanno che presto abbandoneranno il castello e noi cerchiamo di lasciare su di loro un ricordo indelebile.
Una sola volta, nella mia lunga carriera, venni meno alla “Ronda”. Tatiana M*** era un ottimo elemento che mai aveva dato adito alla benché minima lamentela. Toccava a lei fustigare la N° 1234 legata alla Colonna. Ci mise impegno, mi si disse giacchè io non potei esser presente, però Tatiana se la faceva con quella stessa ospite. Nel senso che spesso la introduceva di soppiatto nel proprio letto, durante le ore di riposo. Situazione intollerabile, che non potevo sopportare ma allo stesso tempo non volevo ricorrere alla “Ronda”. Come nel caso del guardiano maschio, convocai Tatiana e le feci firmare il foglio con le sue dimissioni volontarie; dopodiché le dissi che, proprio per evitarle l’umiliazione di fronte ai colleghi, dati i suoi ottimi precedenti l’avrei punita io stesso. Tatiana capì. Si abbassò i pantaloni e i mutandoni (si era nel mezzo del gelido inverno) e si piegò sulla scrivania. Ricordo che aveva un bel posteriore: niente d’eccezionale, ma ben fatto. Le diedi 60 cinghiate, esattamente il doppio del numero delle vergate che lei aveva dato la mattina alla sua favorita. Il suo deretano diventò rosso, screziato e scheggiato come il tronco di un pino. Tatiana si faceva forza per non urlare di dolore, mordendosi i pugni stretti ma sussultava ad ogni cinghiata. Per le ultime ci impiegai un po’ meno energia. Mentre stava ancora chinata sulla scrivania con le braghe calate, le passai sotto le nari la boccetta dei sali per rianimarla. Mi sorrise pure, col volto terreo.
Ci fu pure il caso di un’ “ospite” che sfruttava ogni occasione per esser legata alla Colonna. Era una deviata: godeva a soffrire fisicamente, soprattutto se era colpita lì. Non commetteva mai infrazioni gravi, ma solo piccole cose da 20 0 30 vergate. Evidentemente, conosceva bene il regolamento interno. Dopo esser stata slegata dalla Colonna, aveva sul viso un’espressione beata di godimento. La devianza è di per sé una colpa. La N°2345 aveva fatto cadere a terra la propria ciotola, durante il pasto; l’aveva fatto apposta, naturalmente, per ricevere le 20 bacchettate. Stavolta sarebbe stato diverso! Se non ricordo male, si chiamava Adina ed era una contadinotta lettone di meno di 30 anni, bionda e formosa. Quel giorno, quale incaricato della punizione avevamo S. S***, una robusta ucraina che- ironia della sorte- si divertiva molto a frustare le nostre ospiti. S. era una gigantessa, alta e grossa, con muscoli possenti, lo sguardo cattivo che diventava trasognato quando si trovava a punire. E non che ci mettesse per questo meno energia, anzi sudava copiosamente alla fine di ogni punizione. Dunque, la N° 2345 si fece legare senza opporre resistenza alla Colonna, e la maligna S. le legò un po’ laschi i piedi in modo che la lettone avesse agio di strofinare le cosce fra di loro. La detenuta arrovesciò indietro la testa quando sentì la mia sentenza: non i 20 colpi che si aspettava, bensì 100 il massimo! E l’altra metà glieli avrei dati io personalmente. S. iniziò. La lunga bacchetta sibilava nell’aria, la fendeva e si fermava violenta sulle polpose natiche della bionda. Un colpo ogni tre secondi, come da regolamento e quindi bastarono circa tre minuti a S. per terminare la sua parte di colpi. Se la prigioniera aveva provato piacere all’inizio, adesso sarebbe scesa nell’abisso della sofferenza, del dolore vero!. Impugnai Bertha, la mia bacchetta preferita: lunga, spessa e pesante e rivestita di una striscia di cuoio avvolta a spirale. Presi il posto di S. dietro alla prigioniera, dalla pelle lattea tranne che sui glutei rossi più del sangue.
Proprio al colmo delle natiche, dove dalle reni curvano portando i muscoli a librarsi nell’aria, dall’alto in basso. Adina rimase come paralizzata da quel colpo. Le natiche si contrassero e poi si rilassarono così come i muscoli delle cosce, che tremavano. E fu proprio sulle cosce che concentrai i colpi successivi, assai violenti ed infine sulle reni e la zona coccigea, benchè la corda che legava la prigioniera alla Colonna mi fosse d’impaccio nel colpire con precisione. La N° 2345 aveva la testa reclinata quando ebbi finito, un rivolo giallo le scorreva lungo le gambe. Ma era cosciente, ancora.
Mi rivolsi a S., in modo tale che la donna ancora legata alla Colonna potesse udirmi “ Slegatela e riportatela in cella. Stanotte le farete la “Tavola”, così vedremo se avrà ancora voglia di farsi sculacciare”.