sottomissione schiava grassa

Cristina non è quello che si suol dire un gran bel pezzo di fica; però non è nemmeno disprezzabile, fisicamente. Per esser alta, è alta più della media, è di crine biondo scuro, con gli occhi chiari ma non proprio azzurri, i lineamenti sono regolari ed anche apprezzabili. Soltanto che è grassa! E lo era ancora di più, prima che il medico la mettesse a dieta per salvaguardarle le coronarie. Dieta ferrea e di stampo nazista, che però le aveva permesso di scendere di parecchi chili, ma, anche così, ne pesava quasi ottanta; il che, giunta a 40 anni suonati, non era il massimo della forma fisica.
Cristina è produttrice di programmi tv; parla correntemente l’inglese ed è molto intelligente. E’ single, naturalmente, e, a parer mio, lei fa sesso con la stessa frequenza con cui le arrivano le cartelle del mutuo di casa: due volte all’anno!
Rimasi assai stupito quando mi chiese se ero disposto a sculacciarla. Invero, me lo chiese dando per scontata la risposta.
D’altronde, io scrivo -a tempo perso- stolidi racconti algolagnici che nessuno legge, ho una delle più importanti biblioteche S/M che esistano, sono uno dei massimi teorici della sculacciata con qualche avventura nella pratica, eccetera, per di più, e lei lo sa benissimo, non nutro alcun sentimento erotico per lei: insomma, io ero il tipo ideale per quella funzione.
Non le chiesi neppure il motivo di questa sua voglia, non me l’avrebbe mai confessato anzi c’era il rischio che, irritata dalla mia curiosità, si ritirasse pure.
Aveva un vestito verde scuro, tutto di un pezzo. Rapida e decisionista com’è, se lo tolse dopo due minuti che era entrata in casa mia. Sotto, solamente la biancheria intima: reggiseno “normale” (come molte donne grasse,non ha misure abbondanti sul petto), calze autoreggenti XXL e quel tanga nero! Una cosa enorme nella sua piccolezza, una specie di Triangolo delle Bermude. Vero è che, sul davanti, il grasso del ventre straripava alquanto, andando a coprire la base superiore del triangolo, però le cosce erano sode, così come le chiappe. Grasse quanto si vuole, ma non flaccide; striate da smagliature nemmeno troppo evidenti e da capillari sparsi. Terreno ubertoso per la mia manona!
“Allora? Mi metto sulle tue ginocchia, OTiKey come dite voi, oppure mi piego sul tavolo?” mi chiese con decisione.
Beh, proviamo prima sulle ginocchia anche se non ero ben sicuro di riuscire a sopportare il suo peso. Che invece si rivelò più lieve del previsto. Lei ne doveva aver visti di filmati e/o foto di sculacciate, perché una volta messo il ventre a contatto con i miei pantaloni, allargò le mani sul pavimento e puntellò le dita dei piedi per bilanciarsi ben bene.
Senza neppure sfiorarle la pelle, paragonai l’apertura della mia mano alla dimensione della sua natica. Nemmeno a pensarci a sculacciarla con il palmo aperto: ce ne sarebbero volute due e mezzo di mani, soltanto per coprire, e neppure completamente, una sola chiappa. Quindi, dita ben serrate e pollice lasco.
Avete notato come l’adipe sottocutaneo emetta una strana eco quando viene colpito? Subito dopo il CIAFF? Di sicuro, non se l’aspettava così forte, per essere la prima. Ma non protestò. Sono un esteta, lei me lo fa sempre notare. Feci in modo che la natica destra diventasse uniformemente rossa dalla base alle reni, prima di passare a quella sinistra.
Le scaldai per bene anche questa. Sull’esterno della mia coscia sinistra, sentivo la cassa toracica respirare sempre più affannata: segno che sentiva il dolore delle sculacciate. D’altronde, anche il palmo della mia mano era diventato rovente.
“Ti basta?” le domandai speranzoso. La sua risposta non mi deluse. “Allora, vatti a piegare sul tavolo. Torno subito!” le dissi. Anch’io vivo da solo, e non ho un vasto assortimento di utensili di cucina; tuttavia riuscii a trovare un bel cucchiaione di legno, di quelli dal manico lungo lungo, nascosto in fondo ad un cassetto. Tornai in soggiorno. Cristina non si era affatto piegata sul tavolo; stava in piedi, accanto ad esso e si stava massaggiando con energia le chiappe arrossate. Vide la cosa che tenevo in mano e fece una smorfia “Mica lo vorrai adoprare adesso? Su di me?” era alquanto preoccupata. “Me lo hai chiesto tu. Io adesso sono il master, che per inciso viene dal latino magister, e tu l’alunna cattiva. Piegati e stai zitta!”.
Prima di chinarsi sul tavolo,si diede un’aggiustatina al tanga: lo tirò ben in alto, in modo che la strisciolina posteriore penetrasse ben a fondo nello spazio internaticale. Cominciai adoprando il cucchiaio dalla parte tonda, con l’effetto cromatico da popart: un paio di piccoli cerchi biancastri su uno sfondo cremisi. Meglio, molto meglio, usare il manico, tipo bacchetta o cane, per quelli che sanno l’inglese.
Ogni tanto staccava un piede da terra e piegava la gamba, facendo così anche un po’ di esercizio fisico. Però, non si lamentava, non gemeva, non piagnucolava. Grufolava, mano a mano che il dolore si faceva più ardente.
Durante una mia pausa (anch’io avevo bisogno di riprendere fiato), mi chiese se potevo smetterla per un po’. Tirò su dal tavolo il busto e tornò a massaggiarsi le parti lese, ballonzolando sui piedi come un’ orsa siberiana. La mia mano era sudata, stringendo io nel palmo la parte rotonda del cucchiaione: avevo bisogno di asciugarla. Lo feci, passandola sull’altra manica della camicia.
Mi guardò intensamente, gli occhi rossi. Annuii. Lei si riappoggiò sul tavolo. Il manico del cucchiaione la colpì per trenta volte, prima che Cristina gridasse “Basta! Non ce la faccio più! Cazzo, mi fa troppo male!”. Female oblige. Mi fermai, aspettando. Lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi chiese di poter andare al bagno. Evidentemente ne aveva avuto abbastanza. Era finita, quella bella sculacciatura, pensai, vedendola allontanarsi, le calze leggermente scese, le chiappe rosse più del sole al tramonto (ricordavano la nostra stella anche come dimensioni), i rotolini di grasso della schiena sobbalzanti. E’ stato bello finché è durato, pensai, ma adesso basta: e quando mai mi chiederà più di sculacciarla.

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