Giovanni guardava il quadro appeso alla parete, valutandolo obiettivamente. Non si sarebbe lasciato convincere dalle particolareggiate spiegazioni, dagli elogi della sua splendida proprietaria. Certo lei era proprio una gran figa e c’era la possibilità che, acquistando un quadro, si riuscisse ad ottenere anche qualche personale ringraziamento.
Con la coda dell’occhio fissava le sue enormi tette, che quasi prorompevano dall’audace scollatura del vestito. Sarebbe bastato un solo gesto distratto della mano, un impercettibile e disinvolto sfioramento, perchè il petto traboccasse, mettendo in mostra i capezzoli grossi e tesi che s’intuivano facilmente sotto il tessuto leggero.
· Allora, cosa ne dice professore? – domandò lei con voce volutamente allusiva, probabilmente conscia del fatto che lui stesse valutando anche le sue morbide rotondità, oltre che il dipinto. Giovanni si grattò il mento, pensieroso.
· Non è male, signora, davvero niente male! – disse giocando allo stesso modo.
Daniela li guardò con occhi furenti: erano disgustosi, parevano farsi le fusa a vicenda!
· Bè, certo è molto bello, – si intromise, nel tentativo di distrarli. – Sebbene la mano non sia sicuramente delle migliori. Guarda questo lato per esempio, è tremolante, incerto… –
Giovanni si voltò a guardarla tra l’ironico e l’insofferente.
· Ma da quando sei diventata così competente, professoressa? – le domandò con tono volutamente sprezzante.
Daniela arrossì fino alla radice dei capelli, tanto più che la padrona di casa pareva perfettamente d’accordo con lui.
· Stavo solo dando il mio giudizio e comunque è indubbio… – continuò lei, ma non riuscì a finire il discorso.
· Credi davvero che possa interessarci il tuo parere, signorina? – la interruppe lui guardandola dall’alto in basso, giusto per sminuirla e farla sentire ridicola e poco credibile.
Daniela sentì la collera che le montava dentro come un fiume in piena. Come si permetteva di trattarla come una mocciosa, in presenza di estranei? E soprattutto di quella troiaccia snob, impaziente solo di mettere le mani sul suo uccello! Possibile che non si rendesse conto di aver a che fare con una porca affamata di avventure erotiche, più che di consensi per i quadri del defunto marito?
· Davvero una ragazzina vivace la sua assistente, professore! – esclamò lei con finta magnanimità.
Daniela avrebbe voluto ribattere che non era affatto l’assistente di Giovanni e che, comunque, aveva la competenza sufficiente per esprimere anche il suo modesto parere in merito a quel quadro.
Ma naturalmente lui non la lasciò parlare.
· Ma Daniela non è la mia assistente, ci mancherebbe altro! – esclamò prontamente. – E’ semplicemente la mia segretaria! Come potrebbe essere altrimenti? –
E fu proprio quell’ultima frase “come potrebbe essere altrimenti” a mandarla su tutte le furie.
Non appena fuori da quella casa gli si avventò contro.
· Che significa che non potrei essere la tua assistente? Io non faccio la segretaria di nessuno! – gridò mentre lui guidava tranquillamente verso casa.
· Dove stai andando adesso? – domandò, visto che lui non rispondeva alle sue provocazioni.
· A casa, naturalmente! – rispose con tutta tranquillità.
· E credi davvero che una scopata possa risolvere tutto? – insistette lei. – Credi che io sia disposta a farmi portare a letto dal primo maschio presuntuoso che mi tratta come fossi una ragazzina ignorante? Ne trovo a migliaia come te e che non mi fanno fare certe figure di fronte ad estranei. –
· Non dovevi intrometterti nella mia valutazione del quadro. – disse lui serafico.
· Ma non avevo forse ragione? – incalzò lei.
Giovanni alzò le spalle, annoiato.
· Per carità Daniela, non voglio neppure spingermi in una disquisizione di questo genere, con te. Sarebbe tempo perso e comunque non ne sei all’altezza. –
Daniela si sentì punta sul vivo, ferita in profondità.
Lui ci teneva a sottolineare l’abisso culturale che li divideva.
Non vi sarebbe mai stata parità fra loro due, solo per il fatto che lui aveva vent’anni più di lei e si sentiva in diritto di comportarsi da padre.
· E comunque non hai il diritto di gridare con me, – disse lui infatti. – Potrei essere tuo padre! –
Lei sbarrò gli occhi indignata.
· Ma lo sai che un padre che si scopa la propria figlia non ha proprio alcun diritto? – gridò furiosa come una gatta selvatica.
Lui parcheggiò davanti a casa, scese dall’auto, vi girò attorno, aprì la portiera di Daniela e la trascinò giù con forza.
· Non voglio venirci! – gridò lei tentando di divincolarsi.
Lui la trascinò letteralmente in casa.
· Tu fai quello che ti dico io, che ti stia bene o no. – sibilò Giovanni.
· Non sono un giocattolo! – gridò lei istericamente. – Non ci sto se mi tratti in questo modo. Voglio essere la tua donna, non la tua bambola da prendere e lasciare secondo l’umore e le offerte erotiche di altre troie che neppure conosci! –
Giovanni la prese per un polso, la portò in cucina e aprì una porticina: sotto di loro scendeva una scala buia.
· Che vuoi fare, chiudermi nello sgabuzzino come una bambina cattiva? – chiese lei sarcasticamente.
Lui non rise, ma la fece scendere nello scantinato.
Daniela si guardò attorno incuriosita, quando lui accese la luce, seppur ancora furente. C’erano pareti di mattoni grezzi, un pavimento rustico e in un angolo una grande rastrelliera piena di bottiglie di vino. La volta pareva quella di un castello medioevale: era stata fatta apposta in quel modo e sprigionava un autentico fascino antico.
· Se ti può interessare, il posto non mi sembra granchè erotico. – sibilò, tentando di liberare il polso dalla sua stretta.
Giovanni la guardò, come insicuro. Fremeva: pareva indeciso sul da farsi, pareva lottare con se stesso per prendere una decisione. Aveva gli occhi che mandavano lampi.
· E non tentare di fare il duro con me! – aggiunse lei, credendo che quell’attimo di insicurezza, che aveva visto attraversargli il volto, fosse dovuto alla sua aggressività.
· Non m’incanti sai? Non mi convincerai ad essere per te solo un diversivo erotico! – gridò.
Fu allora che lui non ci vide più. Quella piccola vipera sapeva renderlo furioso, sapeva scatenare una furia cieca dentro di lui. Riusciva benissimo a fargli perdere il controllo, a ribaltare i canoni della razionalità, le sue severe regole di vita.
Era come se lei gli incendiasse l’anima, gli mettesse addosso il desiderio prepotente di zittirla, di renderla innocua, soggiogarla al suo volere.
L’afferrò bruscamente, la trascinò dietro un muro, contro le pareti a cui, qualche tempo addietro, aveva infisso dei grossi anelli di metallo da cui pendevano delle lunghe catene. Daniela lo guardò allarmata e senza più osare fiatare: che cosa stava succedendo?
Lo guardò incatenarle i polsi contro la parete, immobilizzarla, chiudendole le caviglie dentro dei pesanti bracciali d’acciaio, sistemati sul pavimento, e poi allontanarsi e rimanere a guardarla in quella posizione, completamente in suo dominio.
· Giovanni, ti prego! – implorò la ragazza, ma già aveva compreso cosa si agitava nel petto di quell’uomo che, ansante e fremente, la scrutava con occhi di fuoco.
Daniela non capiva se era più terrorizzata oppure eccitata.
La realtà era che la rabbia di Giovanni le faceva sperare che la sua indifferenza fosse solo apparente e questo era un buon segno, ma se quell’impeto di sentimenti contrastanti, se le sue provocazioni, dovevano sfociare nella violenza, allora la cosa non era più tanto allettante.
Che cos’era quella luce che gli aveva visto negli occhi, quella fiamma di passione e follia che lo aveva illuminato all’improvviso?
· Dove sei? – gridò con tutto il fiato che aveva in gola. – Torna qui! –
Lui era scomparso all’improvviso senza dir nulla.
Era corso via senza voltarsi indietro.
Perchè? Perchè desiderava quel gioco crudele, che bisogno aveva di dimostrarle che era il più forte?