Il clistere come punizione BDSM fatto alla figlia obbligata a subirlo

Così era stata costretta a tornare mesta mesta a casa con quella nota fra le mani che le sarebbe valsa una severa punizione. Era terrorizzata alla sola idea e tremava già tutta. Fin da quando era piccola e sua madre era morta, il padre si era preso cura di le in modo dolce e premuroso, non le faceva mancare nulla, ma ogni volta che lei ne combinava una delle sue, si trasformava, diventava davvero intransigente e le infliggeva i castighi più strani…tutti corporali. Inizialmente si limitava a sculacciarla fino a farle diventare livide le natiche, poi con il tempo le sculacciate non si abbattevano più sulle gonne e sui pantaloni, bensì sulla pelle nuda, in quanto la costringeva a spogliarsi completamente. Così, oltre al dolore c’era anche la profonda vergogna. Dalle sculacciate con le sole mani si era passati alle canne di vimini, alle racchette da ping-pong, alla cinghia. Durante l’adolescenza erano iniziati i primi supplizi e torture: frustate, morsetti ai capezzoli, clisteri, supposte al peperoncino, lavaggi di tutti gli orifizi, rasature. La cosa che la spaventava maggiormente era il distacco profondo che si apriva fra di loro durante questi trattamenti. Per lui erano solamente una punizione, non vi era nulla di carnale, di fisico, di sessuale, di incestuoso. Non vi era nessun tipo di sentimento e il padre diventava una statua di sale pronto a colpirla furiosamente al primo sgarro. Fino al tardo pomeriggio poteva star tranquilla, lui non ci sarebbe stato, era al lavoro e tornava solo alle 18. Così consumò un pasto frugale, preparato dal genitore la sera prima e si chiuse in camera in preda all’angoscia. Non aveva mai confidato a nessuna amica ciò che le capitava fra le mura domestiche e così non aveva nemmeno una valvola di sfogo, era sola con il suo terrore.

L’orologio a pendolo del salotto suonò le sei in punto. Maria Claudia si alzò dalla scrivania e andò a sedersi sul divano in attesa del padre. Si era già fumata un pacchetto di sigarette e le mani le tremavano. Il genitore, entrando in casa con quell’aria funerea, capì subito che c’era qualcosa che non andava e si mostrò contrariato da quella figlia così scapestrata e indisciplinata. Prese la nota, la firmò e poi si rivolse perentorio alla ragazza

“Vai in camera tua, spogliati completamente e poi vai in cucina a preparare la cena. Nella busta della spesa troverai due bistecche e dell’insalata”

Sapeva che la nudità era già una grossa punizione per lei, perché l’imbarazzo e la vergogna la sotterravano. Ciò nonostante, Maria Claudia ubbidì ormai rassegnata all’imminente catastrofe. Tolse i jeans, i calzini, la t-shirt, poi anche il reggiseno e le mutandine, fino ad essere priva di ogni barriera e alla mercè del padre. Sempre con gli occhi al pavimento, preparò la cena e aspettò che il padre si facesse una doccia e comparisse in cucina. Come sempre non la degnò di uno sguardo; e dire che ci sarebbe stato parecchio da guardare. Maria Claudia era infatti una bella diciottenne alta e slanciata, con lunghi capelli neri, occhi profondi, labbra carnose, un seno prominente e sodo, come il fondoschiena e un monte di venere invitante, coperto da un’abbondante peluria. Cenarono in silenzio, anche se la ragazza non aveva appetito, sapeva che non poteva certo sciupare la bistecca e l’insalata, sarebbe stato uno spreco imperdonabile agli occhi del padre.

“Ora mentre io lavo i piatti tu vai a prendere tutto l’occorrente per il clistere: la sacca, la glicerina, il piedistallo e gli asciugamani”

Dunque, per iniziare le sarebbe toccato un altro clistere! Li odiava, erano umilianti, dolorosi, sporchi, ma fece tutto come lui le aveva ordinato. Tornando in cucina, vide che aveva già fatto della camomilla in un pentolino e dentro quel liquido giallo ci spremette quasi tutto il flacone di glicerina liquida. Mescolando, la soluzione risultava piuttosto densa e avrebbe bruciato parecchio negli intestini della ragazza.

“Stendi gli asciugamani sulla tavola e stenditi sopra di schiena, portando le ginocchia al petto”

Quella era la sua posizione preferita, la più umiliante per lei che doveva sempre tenere gli occhi ben aperti, come tutti i suoi orifizi, mentre il padre aveva una visuale completa di tutto il suo corpo. Come un automa si posizionò, mentre il carnefice preparava tutto. Il trespolo fu posizionato accanto a lei e vi ci appese la sacca riempita fino al segno 1 di quel denso liquido giallastro. Dalla borsa pendeva un lungo tubo, più piccolo del solito e, con sua grande sorpresa, non aveva all’estremità nessuna cannula. Sentì che il padre era pronto per agire e tremò tutta, trattenendo il fiato. Egli, con sguardo imperturbabile avvicinò l’estremità del tubo di gomma allo stretto sfintere senza lubrificarlo minimamente e iniziò lentamente ad introdurlo. Data la secchezza della zona, Maria Claudia provò un forte dolore, dovuto alle pieghette che si tendevano per lasciar passare l’intruso. Oramai avvezza alla pratica, spinse leggermente in fuori e rilassò l’ano, facilitando l’introduzione. Oramai il primo gradino era passato, la gomma era entrata senza troppo fastidio, ma ecco che Maria Claudia notò qualcosa di anomalo….il padre non accennava ad arrestare la sua spinta. Senza dire una parola stava continuando a far entrare il tubo negli intestini della ragazza che dopo un po’, sentendoselo quasi in gola provò a mormorare qualcosa
Un sonoro ceffone si abbattè sulla sua guancia destra, facendole girare la testa e lacrimare gli occhi, ma non una parola usci dalla bocca del padre. Oramai Maria Claudia non riusciva più a stare ferma, le faceva male la testa e sentiva quel serpente di gomma avanzare dentro di lei, ancora e ancora. Non era troppo doloroso, ma si sentiva ingombra e aveva paura perché forse poteva provocarle qualche danno interno. Finalmente, dopo un tempo che a lei sembrò infinito, il padre si scostò da lei. Si avvicinò alla sacca e come al solito aprì il rubinetto lasciando libero il liquido di inondare le viscere. Era molto denso e la discesa non si percepiva, anche perché il limite non si spostava quasi da 1.

“Io vado a vedere la tv, se ti va puoi scendere dal tavolo e raggiungermi tanto il tubo è ficcato bene in profondità e non uscirà di certo. Oppure trova una posizione comoda in cui ti possa tenere d’occhio, perché ti assicuro che ne avrai per parecchio tempo”

Era terrorizzata, non capiva le sue parole e per un po’ rimase ferma così com’era. Poi lentamente iniziò a capire. La soluzione era così densa che ne scendeva pochissima alla volta e, dato che la fine del tubo era profonda nel suo intestino, non avrebbe subito perdite inopportune per un po’. Con la schiena dolorante, decise allora di abbassare le gambe e coprirsi le pudende con le mani. La tavola della cucina non era però l’ideale e ben presto si sentì scomoda e decise delicatamente di scendere. La soluzione non fu delle migliori, perché subito si rese conto di essere ridicola e imbarazzante, tutta nuda, con quel tubo che le usciva dal sedere e risaliva sul trespolo che si doveva portare appresso. Così in un attimo individuò una sedia che era nel campo visivo del padre e cercò di sedersi. L’operazione risultò vana perché non poteva certo schiacciare il tubo, né tanto meno rimanere con il posteriore in alto….poi le venne un’idea. Girò la sedia e la inforcò a cavallo, lasciando che il sedere sporgesse, assieme al tubo. Ecco ora stava meglio. Il padre continuava a guardare la tv e non cercò nemmeno di monitorare tutti quei movimenti, ciò che importava era che potesse, se l’avesse voluto, controllarla. Dando un’occhiata all’orologio, Maria Claudia si accorse che erano passati appena dieci minuti, che a lei sembravano un’eternità, e il liquido non era sceso nemmeno di metà. Cosa avrebbe fatto in tutto quel tempo e il padre sarebbe rimasto sveglio in salotto e quando le sarebbero arrivati gli inevitabili crampi?

“Devo andare in bagno. Alzati da lì e stai in piedi dietro la porta”

Maria Claudia obbedì tranquillamente, ma mentre si alzava dalla sedia, un dolore lancinante le squarciò il ventre.

“Ah che male….ah sto male, il tubo deve avermi perforato le budella….ah ti prego aiutami…toglimi questo tubo…ti prego”

Maria Claudia era piegata a metà per il dolore e aveva iniziato a piangere guardando con occhi supplichevoli il padre.

“Visto che da lì non ti muoverai tanto facilmente io vado in bagno”

Infatti la ragazza non poteva fare un passo, nemmeno alzarsi perché aveva delle fitte fortissime alla pancia. Se la teneva stretta con le mani, se la massaggiava, ma la sentiva, dura, contratta e soprattutto piena di quell’orribile tubo trasparente. Quando il padre tornò in salotto la figlia era totalmente stesa per terra in posizione fetale, cercando di alleviare il dolore.

“Papi sto male…ti prego liberami…ti prometto che….non succederà mai più”

La voce era rotta da singhiozzi e lamenti che non destarono la minima pietà nel padre, il quale tornò a sedersi comodamente in poltrona.

Ora la taratura della sacca per clisteri indicava che mancava poco meno di un quarto di litro alla fine della punizione ed erano passate due interminabili ore, in cui Maria Claudia si era contorta, aveva pianto, aveva strillato, si era appisolata, il tutto stesa ancora per terra.

“Maria Claudia alzati e vai a rimetterti sulla tavola nella stessa posizione di prima”

Il padre dovette ripetere la frase due volte, perché la ragazza la comprendesse e si decidesse ad obbedire. Non fu facile l’operazione, perché i dolori erano sempre più forti, e ora c’erano anche i crampi e le spinte per espellere il liquido. Completamente sudata riprese le ginocchia fra le braccia e aspettò con ansia che la punizione finisse. Il padre con estrema lentezza iniziò a far uscire il tubo dall’intestino. Non aveva fretta e l’operazione sembrò non finire più. Il tubo che usciva dal sedere di Maria Claudia era tutto sporco di marrone e giallo e ricadeva sull’asciugamano. Quando poco mancava all’estrazione finale, il carnefice intimò alla vittima di non far uscire nemmeno una goccia, pena venti sculacciate. La figlia si impegnò al massimo, strinse i denti e i muscoli dello sfintere, pronta a scattare non appena lui glie ne avesse dato il permesso. Il tubo era tutto fuori quando Maria Claudia stava per rilasciare le gambe e partire alla volta del bagno, ma il padre non fiatava e lei non poteva certo prendere sue iniziative. I crampi, ora che tutta la soluzione era entrata dentro di lei erano forti e le spinte sempre più insistenti, tanto che credeva di scaricarsi di lì a poco sul tavolo della cucina.

“Ora puoi andare in bagno”

Maria Claudia, in preda a violenti dolori corse via, inciampando, cadendo e poi ancora rialzandosi, fino a quando non rilasciò il suo piccolo ano sulla tazza del water. L’operazione di espulsione durò tutto il resto della notte, perché la glicerina penetrata fin nel profondo delle viscere, le dava sempre l’impressione di dover evacuare.

Il primo sabato di umiliazione

Entrambi cominciarono a mugolare di piacere e ai piedi del letto io vedevo solo il culo bianco e carnoso di Clotilde ondeggiare e il suo sfintere aprirsi e chiudersi di piacere: ad un certo punto, sempre rimanendo a quattro zampe, Clotilde si voltò e lo pregò di prenderla: afferrandola per i lombi lui introdusse il suo uccello mostruoso nella sua fica e Clotilde lanciò un grido. Per venti minuti almeno dovetti assistere alla scena di quel uccello enorme che entrava e usciva dalla fica fracida di Clotilde, la quale nel frattempo roteava le anche mugolando e impalandosi in estasi su quel palo di carne durissimo.

Quando alla fine lui la baciò sul collo, Clotilde lanciò un urlo disumano e vennero insieme: vidi la sborra densa di lui eruttare dalle labbra tremolanti della sorca di Clotilde che, ormai in preda al delirio erotico, urlava: “Sì aahhì amore! .. aahhì … ancora … aaahh!.. finalmente un vero uomo! .. oohh! … tesoro, sì! … così … ancora … aaahh!”
Quando terminarono, mi disse che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei potuto assistere ai loro incontri amorosi: a partire da quel giorno sarebbero stati entrambi i miei padroni e, ogni volta che avessero fatto l’amore, lui prima mi avrebbe picchiato inIl culo di Clotilde era bellissimo presenza di lei e fino a quando lei non fosse stata soddisfatta.

Il sabato successivo i nostri compagni di classe avevano organizzato un gioco che prevedeva che sarei stato messo all’asta e che il vincitore mi avrebbe usato come meglio lo avesse ritenuto opportuno. Inutile dire che venni aggiudicato a Clotilde la quale, sedutasi su una poltrona, pregò il suo nuovo uomo di picchiarmi di fronte a tutti. Lui mi ingiunse di denudarmi e di inginocchiarmi davanti a Clotilde; poi si sfilò la cintura dei pantaloni e cominciò a frustarmi. Sotto i colpi vedevo Clotilde fissarmi con gli occhi lucidi di libidine e sorridere beffarda mentre mi diceva che ero un verme.
A un certo punto sospese la mia punizione ed entrambi si sdraiarono sul divano di fronte a me. Infilandole le mani sotto il vestito, lui le abbassò le mutandine e le introdusse un dito nella topa, palpandole allo stesso tempo le poppe nude con l’altra mano. Clotilde sussultava ansimando sotto quelle carezze e prese a baciarlo furiosamente mentre sperimentava il primo orgasmo. Poi si alzarono e se ne andarono in una delle camere vicine per fare l’amore.

Un’ora dopo Clotilde uscì e mi trascinò in una camera da letto dove mi fece spogliare e si svestì, rimanendo in sottoveste. Ricordo ancora le sue carni debordare generosamente dal corsetto a stecche di balena che indossava e le sue cosce bianchicce contrastare col reggicalze nero. Quando notò il mio stupore per quella biancheria mi disse sadicamente che la indossava per compiacere i desideri del suo nuovo uomo. Dopo avermi legato a quattro zampe sul letto prese un battipanni di vimini e cominciò a sculacciarmi natiche e cosce, dicendomi che ero stato uno schiavo cattivo perché mi ero dimenticato di farle un bidè colla lingua dopo che lei aveva fatto l’amore col suo uomo. Dopo duecento colpi circa mi slegò, ma solo per tornare a legarmi, questa volta supino, sul letto. Quindi ricordo che si sedette sopra di me, appoggiando il sedere sulla mia faccia.

Quasi soffocandomi tra le sue natiche sode mi ordinò di leccarle l’ano e la fica, e cominciò a strusciare l’uno e l’altra sul mio naso e la mia bocca. Dovetti leccarle quei due buchi odourosi per più di mezz’ora, passando e ripassando la lingua a ripulirle la sborra densa di cui l’aveva riempita il suo nuovo amore, fino a quando non venne sussultando e inondandomi la faccia dei suoi umori appiccicosi. Poi chiamò il suo uomo col quale, infoiata com’era, voleva fare di nuovo l’amore e mi chiuse nel bagno.
Mi liberò verso le nove e quando uscii lui era seduto sul letto, ancora nudo, e Clotilde mi ordinò di ripulirgli l’uccello ancora bagnato dei loro liquidi intimi. Mi inginocchiai di fronte a lui che mi spinse in bocca il suo uccello gocciolante, semi rigido ma ancora mostruosamente grande. Presi a succhiarlo e in quello stesso momento Clotilde mi si avvicinò e mi infilò rabbiosamente un dito in culo. Colla mano libera prese a strizzarmi impietosamente cazzetto e testicoli e mi sussurrò ad un orecchio: “Succhiaglielo con devozione, perché lui è il mio uomo. Io lo amo e con quel uccello mi ha appena fatto sentire felice di essere la sua donna!”
Eccitato dalle parole umilianti di Clotilde, sentii il mio cazzetto diventare durissimo tra le sue dita. Improvvisamente mi ricordai che la mia libera uscita di casa scadeva alle sette, per cui ero già in ritardo di due ore e non sarei stato a casa, nella migliore delle ipotesi, prima di altre due. Sentii nelle orecchie lo schiocco delle cinghiate che immancabilmente mio padre mi avrebbe somministrato sulle natiche nude non appena fossi arrivato a casa e venni nella mano di Clotilde.l_unica_cosa_che_capisce

Con un grido disgustato Clotilde mostrò la mano gocciolante di sborra al suo uomo nello stesso momento in cui lui scaricava il primo fiotto di sborra bollente sulle mie gengive. Estrattomi l’uccello dalla bocca mi afferrò per i capelli, mi obbligò a ripulirgli il glande colla lingua e le disse di passargli la sua cintura che “… mi avrebbe insegnato ad insozzare la sua donna …”
E me lo insegnò frustandomi la schiena mentre mi faceva leccare i piedini nudi di Clotilde che, seduta sul letto, si masturbava eccitata mentre lo pregava di darmi una lezione da non dimenticare.
Mi lasciarono andare via verso mezzanotte. Quando entrai in casa mio padre mi stava aspettando.
Afferratomi per un orecchio mi trascinò in camera mia e mi ordinò di togliermi i pantaloni e le mutande per frustarmi. Poi mi fece sdraiare a pancia in giù sul letto e si sfilò la cintura dei pantaloni. Quando mi fui sdraiato cominciai a muovere le anche strusciando il glande sulle coperte e pensai che mentre io ero lì, col culo nudo ignomignosamente esposto in attesa della frusta, in quello stesso momento Clotilde era distesa nel suo letto a fare l’amore col suo uomo. Poi mio padre incominciò a frustarmi. Ogni schiocco della cinghia sul sedere si traduceva nella mia mente nell’immagine di un colpo di reni di lui che affondava il suo uccello enorme nella fica di Clotilde. Fingendo di sobbalzare per il dolore di ogni cinghiata presi anch’io a muovermi come se stessi penetrandola e cominciai a pensare che in quel momento c’era un altro al mio posto che la stava possedendo davvero.
E venni, ma venni troppo presto. Perché dopo essere venuto cominciai a sentire in pieno il dolore delle frustate che mio padre non accennava a smettere di somministrarmi. Ero rientrato con cinque ore di ritardo e questo significava ricevere 600 frustate; io ero venuto prima che me mio padre ne amministrasse cento, per cui i successivi cinquanta minuti passati sotto la cinghia furono un inferno.