schiava asservita al padrone per 24 ore

A distanza di giorni Fiorina era ancora sconvolta e sorpresa. In vita sua non aveva mai nemmeno pensato che potesse accaderle una cosa del genere. Non era una brutta ragazza, tutt’altro, ma non poteva certo definirsi una bellezza, una di quelle donne per cui gli uomini farebbero follie.
Venticinque anni da poco compiuti, piuttosto piccola, poco sopra il metro e sessanta, capelli scuri e lisci, quasi corvini, un viso sottile ed aggraziato, su un corpo tendente al grassottello. Seni quarta misura, fianchi rotondetti, gambe carine, ma con cosce un poco troppo potenti.

Lavorava in una concessionaria di auto, come addetta alle vendite, ormai da 3 anni, qualche cliente l’aveva cortesemente flirtata durante le trattative, ma niente di più. Sino a quel giorno. Lui era un signore sulla quarantina, elegantemente vestito, raffinato e colto, lo si sentiva dal modo di parlare. Fiorina, aveva ormai acquisito la capacità indispensabile per il suo mestiere, di capire rapidamente le persone che si trovavano di fronte, ma con lui non vi era riuscita, lo giudicava enigmatico, almeno sino a quel giorno.

La vendita di una lussuosa auto era stata perfezionata alcune settimane prima, ma lui era tornato più volte, per il disbrigo delle pratiche o semplicemente per informarsi sulle previsioni di consegna. Era gentile, persino troppo gentile, e lei pensò che la stesse corteggiando e ne fu lusingata.

Il giorno della consegna della vettura Sentini, questo era il suo nome, prima di lasciare la rivendita, passò da lei a salutarla e la invitò a prendere un caffè al bar di fronte. Fiorina accettò. Lui la ringraziò per l’efficienza e la sollecitudine, poi, poco prima di salutarla, le fece la proposta che ancora la sconvolgeva.

“Signorina, io sono un uomo ricco forse troppo ricco, e a volte la ricchezza rovina le persone” iniziò a dirle, e lei lo guardò imbarazzata da quel discorso, senza sapere cosa dire “per cui non si meravigli di quanto le dirò tra poco. Ascolti, cerchi di rimanere serena e si conceda di rifletterci, a lungo se riterrà opportuno. Qualora quello che le dirò potesse poi risultare di suo interesse, potrà contattarmi in qualunque momento a questo numero” continuò, e le diede un biglietto da visita, Fiorina lo prese continuando a guardarlo imbarazzata e stupita da quanto lui diceva.

“Fiorina, lei è una di quelle donne che stimolano la mia fantasia” riprese dopo una breve pausa “Da quando l’ho conosciuta, desidero una sola cosa e, dal momento che sono un uomo ricco, sono disposto a pagare per averla. Io le offro 100 milioni per essere la mia schiava per un giorno, ci pensi un giorno solamente, ci rifletta mia cara” disse, e prima che Fiorina, arrossita violentemente e scandalizzata potesse replicare, lui l’aveva salutata con un sorriso ed un gesto della mano e se ne era andato.

La rabbia di Fiorina, non aveva potuto scaricarsi e le rimase a lungo dentro, costringendola a pensare all’episodio ed alla proposta, che altrimenti avrebbe rifiutato immediatamente senza più pensarci.

Così i giorni erano passati, e mille domande erano sorte nella mente incredula di Fiorina. Si sa la curiosità è donna, e così, un paio di settimane dopo, Fiorina chiamò da casa il numero che lui le aveva dato “Solo per curiosità, non intendo certo accettare” si disse a giustificazione.

Quando lui rispose, la riconobbe subito “Fiorina, che piacevole sorpresa, sentirla nuovamente, a cosa devo la sua telefonata” disse “Non è che abbia intenzione di accettare la sua proposta, ma volevo solo cercare di capire meglio, capisce, sgombrare il campo da possibili malintesi, capisce, la sua proposta, è così assurda da sembrare una burla” disse con voce seria “Certo, più che naturale, ma le assicuro che non si tratta di una burla, nel caso accettasse, le assicuro che avrebbe le massime garanzie, entrambi avremmo le massime garanzie di piena soddisfazione” rispose lui “Sicuro, ma al momento non pensavo nemmeno a questi aspetti, volevo solo capire meglio cosa intendesse lei con la parola schiava” disse Fiorina “Molto semplice mia cara, la mia fantasia è di averla per un giorno a mia disposizione, totale disposizione, sessualmente per chiarirle meglio la cosa. Per 24 ore, un poco meno dal momento che anch’io dormo, lei dovrebbe soddisfare ogni mio desiderio, non importa quanto insolito strano sia” le chiarì lui.

Fiorina malgrado fosse tanto distante da lui, arrossì violentemente, si sentì assalire dall’angoscia e cercò di chiudere rapidamente il discorso “Non posso accettare, sa io non la conosco, ed esistono certi matti in giro, io alla mia incolumità ci tengo” farfugliò. “Non le verrà fatto alcun male, nulla di grave almeno, le assicuro che lei il giorno seguente potrebbe tornare tranquillamente a casa e riprendere la sua vita, anche su questò se accettasse avrebbe le massime garanzie” rispose lui con calma.

Fiornia, incapace di controllarsi chiuse la conversazione riattaccando il telefono. Era sconvolta e si maledisse per aver telefonato. Si ripropose di non pensarci più, ma il tarlo ormai era irrimediabilmente entrato nella sua mente, un unico ricorrente pensiero che la tormentava di giorno ed animava i suoi sogni la notte.
Nemmeno lei saprebbe spiegare se a spingerla ad accettare la proposta sia stata la sua innata curiosità, il fascino dell’ignoto e del proibito, o più semplicemente l’enorme quantità di denaro guadagnato in un solo giorno, ma alla fine ritelefonò per dire che accettava.

All’inizio, le parve tutto così strano, irreale, lui la andò a prendere a casa, e la trattò con la solita cortesia. La portò a fare compere, prima biancheria intima molto raffinata e sexy, poi un vestito, scarpe nuove, la portò in giro per la città nei posti più esclusivi, quasi volesse pavoneggiarsi con lei a fianco. Fiorina che non si riteneva una bellezza, non capiva, ma si guardava bene dal fare domande.

Nel pomeriggio, quando lui in macchina le disse di togliersi le mutandine, vi sembrerà incredibile, ma accolse quella richiesta quasi come una liberazione, era la prima in linea con quanto si era aspettata, tutto il resto della giornata, per lei era stata un’incomprensibile sorpresa.

Più difficile fu accettare la sua successiva richiesta, la portò davanti ad un negozio di scarpe, e prima di entrare, le disse “Adesso, scegli il commesso più giovane, chiedi di provare vari modelli, e mentre lui te le farà provare, fai in modo che possa vedere bene sotto la tua gonna”. Fiorina arrossì violentemente, avrebbe voluto dire qualche cosa, ma lui la gelò con uno sguardo “Ricordati l’accordo” le disse solamente.
Entrarono ed imbarazzatissima, Fiorina fece quello che lui le aveva chiesto, quando per la prima volta dischiuse le cosce davanti al volto del giovane, che ebbe così libera vista sotto la corta gonna, i due arrossirono entrambi, poi lentamente Fiorina incominciò a rilasarsi, ed a divertirsi per l’imbarazzo del giovane.

Il commesso a sua volta si sbloccò, e nel farle provare le scarpe, non si lasciò sfuggire l’occasione di accarezzarle le gambe, anche un poco più in alto di quanto fosse normalmente lecito. Sentini intervenne e mise fine al gioco non comperarono niente e se ne andarono. Il gioco si ripetè più volte, in vari negozi, persino in un bar all’aperto, nel quale lui le chiese di farsi guardare dagli stupefatti passanti.

Verso le dicannove lui la condusse a casa sua, un lussuoso attico, sul più alto edificio della città, ormai Fiorina si sentiva a proprio agio, e cullava persino l’idea di potersela cavare a buon mercato. Era stata dopo tutto una giornata insolita ed eccitante.
La accompagnò nel salotto, si accomodarono sul divano “Gradisci un’aperitivo mia cara” le domandò lui “Volentieri” rispose lei, “Te ne farò portare uno speciale” disse lui con aria enigmatica, e premette un pulsante. Poco dopo nella stanza entrava un cameriere “Il signore ha chiamato” disse “Si Giorgio, vieni qui per favore” disse Sentini. L’uomo si avvicinò fermandosi davanti a loro “La signorina gradirebbe un aperitivo, il tuo personale, quello speciale” disse lui.
“Subito signor Sentini” rispose l’uomo.

Sino a quel momento Fiorina se ne era stata rilassata sul divano, ma ad un tratto s’irrigidì mentre guardava inorridita il cameriere che si slacciava i pantaloni estraendone il cazzo ancora flaccido “Se vuole servirsi signorina” le disse l’uomo con un sorriso malizioso, Fiorina istintivamente rivolse lo sguardo a Sentini “Volevi un aperitivo ? Succhialo e fallo venire nella tua bocca, e mi raccomando, bevi tutto, sino all’ultima goccia” le disse lui guardandola impassibile, mentre Fiorina si sentiva venir meno.

Esitò a lungo, ma nessuno dei due uomini si mosse, e Sentini questa volta non ebbe bisogno di ricordarle l’accordo.
Fiorina, si spostò verso l’uomo, sedendosi in punta al divano e la sua piccola mano prese il fallo ora semi eretto e lo condusse alle labbra. Le dischiuse e lo accolse in bocca, iniziando a succhiarlo e masturbarlo.

Pochi istanti dopo il cazzo si ergeva prepotentemente eccitato, dilatandole oscenamente le labbra, il cameriere le pose una mano sulla nuca ed iniziò a guidare il ritmo del pompino. Sentini si mise a darle istruzioni, e lei le seguì, giocando con la tumida lingua sul glande, leccando l’asta per tutta la lunghezza, succhiando i coglioni del cameriere, che se ne stava in piedi di fronte a lei, in silenzio ad occhi chiusi gustandosi quel fantastico pompino.

Le istruzioni di Sentini prolungarono il gioco a lungo, dopo un po lui si avvicinò a loro per guardare meglio, e lei sentì la sua mano infilarsi tra le sue coscie, sollevarle la gonna ed iniziare ad accarezzarle abilmente la vagina, solleticandole irresistibilmente il clitoride. Malgrado, la situazione, suo malgrado Fiorina si bagnò.
Alla fine lui si decise e le chiese di farlo godere. Fiorina fece nuovamente penetrare il glande nella bocca prendendo dolcemente a leccare il glande, mentre la mano si agitava freneticamente sull’asta. Il cameriere iniziò a gemere , il suo pube prese a muoversi impercettibilmente avanti ed indietro, mimando l’amplesso e poco dopo esplose con un grugnito di piacere, scaricandole il suo copioso seme in bocca.

I fiotti copiosi si susseguirono, mentre Sentini la avvivava con voce minacciosa “Inghiotti, inghiotti sino all’ultima goccia., e lei lo fece e per la prima volta in vita sua bevve lo sperma. Lentamente, l’uomo si rilassò ed il cazzo prese ad afflosciarsi, mentre lei continuava a succhiarlo e leccarlo. L’uomo si ritrasse e si ricompose e se ne andò salutando rispettosamente Sentini.

“Brava, sei stata veramente brava, continua così, volgio che tu ti scaldi, lasciati andare, eccitati” le disse, mentre la sua mano continuava ad accarezzarla”. Sentini suonò nuovamente il campanello e pochi istanti dopo, la porta si aprì nuovamente, e questa volta comparve una cameriera, portava un vassoio, suo quale era posto uno strano occetto, del quale Fiorina non capì subito la funzione “Brava Michela, hai portato l’occorrente, potete procedere” disse Sentini e si staccò da Fiorina.
La ragazza posò il vassoio e si avvicinò a Fiorina, le porse le mani e l’aiutò ad alzarsi, Fiorina guardò il suo padrone con aria interrogativa “Si hai capito bene mia cara, voglio vederti fare all’amore con Michela. Vedrai, ti piacerà, lei è bravissima” disse lui. Ormai Fiorina aveva imparato a non obiettare, così, quando Michela la prese tra le braccia e la baciò non si sottrasse. La cameriera continuò a baciarla, mentre le mani abili la spogliavano. Il vestito cadde a terra, poi le tolse il reggiseno ed i grandi morbidi seni sobbalzarono elastici nell’aria.

Michela interruppe il bacio e si gettò avidamente sui grandi e scuri capezzoli, leccandoli amorevolmente, succhiandoli con passione, mordicchiandoli perversamente quando si inturgidirono. “Adesso splgliala tu” disse Sentini, Fiorina slacciò la divisa della cameriera e si accorse che sotto era completamente nuda.

Michela la fece stendere sul divano, con la testa vicina a Sentini, le sfilò le mutandine ed immerse il volto tra le potenti coscie di Fiorina e lei s’irrigidì quando sentì la tumida lingua della donna scorrerle sulla vagina e risalire sino al clitoride. Un gemito le sfuggì dalle labbra, “Leccala” le intimò lui e Fiorina timidamente iniziò a passare la lingua sulle grandi labbra di Michela.

Ben presto si era lasciata andare, e leccava cercando di imitare i raffinati tocchi della lingua di Michela sulla propria vagina, Sentini nel frattempo le accarezzava le tette. Michela fu scossa da un orgasmo e gli umori incominciarono a colare copiosi dal suo sesso ricoprendo la bocca di Fiorina che a sua volta venne poco dopo. Michela si staccò da lei, ed andò a prendere l’oggetto che aveva lasciato sul vassoio. Fiorina vide che si trattava di uno strano cilindro di lattice, guardò meglio e vide che alle due estremità imitava l’oscena forma di un fallo eccitato, vide Michela affondarsene una parte nella vagina ed emettere un gemito soffocato. Poi la giovane cameriera impugnata l’altra estremità andò ad affondarla nel caldo ventre di Fiorina.

Le due donne si ritrovarono penetrate e congiunte da quello strano oggetto, Michela provò ad ondeggiare i fianchi ed il fallo iniziò a muoversi con le, affondando e fuoriuscendo dalle vagine madide d’umori, le mani di Sentini, tormentavano ormai ininterrottamente i seni di Fiornia, stropicciandole i duri e grossi capezzoli, regalandole irresistibili fitte di piacere e lei ormai gemeva in continuazione e ben presto entrambe le donne furono nuovamente scosse da un nuovo orgasmo, abbandonandosi esauste sul divano.

Michela prese si rivestì e se ne andò, lasciandoli soli, ma poco dopo la porta si aprì di nuovo. Michela rientrò, ma questa volta era accompagnata da 5 uomini, erano tutti giovani, nudi ed eccitati, Fiornina li guardò stupefatta, senza riuscire ad evitare che il suo sguardo si posasse sui membri. “Mia cara, questi giovani sono qui per te e Michela, vai a darle una mano”, le disse Sentini.

Fiorina con apprensione si alzò, raggiungendo il gruppo. I giovani impazienti avevano incominciato a spogliare Michela che rapidamente era rimasta nuda. Le due donna furono presto circondate e fatte inginocchiare ed i cazzi impazienti presero a premere sulle labbra delle due, a strusciare sulla pelle dei loro visi, mentre le mani dei maschi, cercavano di accarezzare i seni.
Fiorina non sapeva che fare, mentre Michela prese subito ad accarezzare e succhiare tutti i cazzi che le capitavano a tiro. Lentamente anche Fiornia si adeguò iniziando a lavorare di bocca e di mani. I giovani si davano rapidamente il cambio, vagando in continuazione tra le due, affondando i cazzi ora nella bocca dell’una, ora dell’altra, Sentini, continuava ad osservare la scena.

Il gioco si protrasse alcuni minuti, poi un maschio impaziente prese Fiornia e la stese a terra, penetrandola lo fece con decisione, quasi con violenza e la brunetta, malgrado fosse ancora ben lubrificata, lanciò un gridolino di dolore, subito soffocato dal cazzo di un secondo maschio che le si affondò in gola iniziando a chiavarla in bocca. Incredula Fiorina vide un terzo maschio salire a cavallo infilando il membro nel profondo solco dei grossi seni, stringere le morbide carni intorno all’asta, ed iniziare a muoversi, mimando oscenamente l’atto amoroso.

Fiornina era travolta dalla foga dei tre, scossa dai loro colpi frenetici, non capiva più nulla, e non riuscì a farlo per parecchio tempo. Poi il maschio che stava facendosi succhiare si staccò imitato dagli altri, e lei riuscì a vedere Michela, che carponi sul pavimento, veniva scopata alla pecorina da un giovane mentre un’altro la chiavava in bocca afferrandola per i capelli e spingendole completamente il cazzo in gola.

Anche Fiornia venne fatta mettere carponi e presa allo stesso modo mentre il terzo maschio si stendeva sotto di lei, facendosi massaggiare il cazzo dalle morbide tette che sobbalzavano sotto la brunetta.
Il tempo scorreva veloce, ma i maschi parevano instancabili e continuavano a scopare le due con vigore, ad un cero punto, Fiorina vide il maschio che in quel momento lei stava succhiando, allontanmarsi e raggiungere Michela e gli altri due maschi.
Vide il gruppo sciogliersi e ricomporsi, Michela venne fatta calare su di una giovane steso a terra che la penetrò, un altro si portò davanti alla donna porgendole oscenamente il cazzo congestionato, Michela spalancò la bocca e lui le affondò in gola con un potente affondo, la prese per i capelli ed iniziò a muoversi avanti ed indietro. Incredula Fiorina vide il terzo maschio portarsi alle spalle della giovane. In piedi si accarezzava il membro eretto.

Poi lo vide piegare le gambe mentre la mano puntava il cazzo in basso e l’altra si posava sulle chiappe di Michela divaricandogliele. Anche il terzo membro scomparve nel corpo della giovane cameriera, sfondandole il delizioso culetto. I tre presero a muoversi all’unisono sul corpo gemente della ragazza.

Mentre continuava a fissare stupefatta ed atterrita il gruppo, Fiorina venne presa dai due maschi che la fecero alzare. Uno si stese a terra tenendo il cazzo svettante e l’altro l’aiutò a calarsi sul bastone di carne affondandoselo nel ventre madido d’umori. Poi il secondo maschio in piedi davanti a lei le porse il cazzo da succhiare.

Fiorina era rivolta verso la poltrona dove sedeva Sentini, lo vide alzarsi ed incominciare a spogliarsi, quando si sfilò pantaloni e mutande rimanendo nudo, il suo membro eccitato sobbalzò pesante nell’aria. Era grande, immenso, Fiorina non ne aveva mai visto uno simile, lei continuò a fissarlo come iptnotizzata.

Lui le sorrise, poi si portò vicino a Michela, disse qualche cosa al maschio che si stava facendo spompinare che si spostò e lui porse oscenamente la immensa e congestionata cappella alla giovane cameriera che prese a leccarla con la tumida lingua.

Il giovane che aveva ceduto il posto a Sentini si avvicinò a Fiorina mastrubandosi, arrivò con la punta del glande a pochi centimetri dal suo volto e continuò a mastrubarsi, mentre lei continuava a spompinare l’altro. Poco dopo si ritrovò circondata da quattro maschi, tutti intenti a mastrubarsi, mentre lei continuava a danzare sul quinto steso a terra.

Lanciò un’occhiata a Sentini, che la fissava mentre Michela, era intenta ad occuparsi del suo incredibile cazzo.
Fiorina sentì un primo maschio gemere di piacere e poco dopo, caldo sperma le piovve addosso, sul volto sui seni sui capelli, poi in rapida successione gli altri tre maschi scaricarono a loro volta il loro piacere su di lei che si ritrovò all’improvviso sommersa da una copiosa pioggia di sperma. Quando i maschi si accasciarono a terra esausti, lei era ricoperta di sperma su tutto il corpo, allora vide Sentini staccarsi da Michela e muovere verso di lei.

Serntì le braccia del maschio sotto di lei cingerle il petto e stringerla con decisione a se. Il suo torace si abbassò i grossi seni aderirono al petto del maschio, mentre il suo giunonico sedere veniva a trovarsi innalzato ed al centro dell’attenzione. Sentini le passò a fianco e si portò alle sue spalle e poco dopo lei sentì l’immensa cappella appoggiarsi allo sfintere. Fiorina colta dal terrore tentò di divincolarsi, ma il maschio che stava sotto di lei la trattenne, mentre lei iniziava ad urlare ed il cazzo di Sentini le affondava impietosamente nel culo.

Si aspettò di sentirsi spezzata in due da quell’enorme affare che la riempiva, lo sentiva affondare sempre più profondamente straziata dal dolore, ma distaccata in modo irreale, si interrogava per capire quanto sarebbe riuscito ad entrare in lei. Stupita lo sentì sfiorarle le chiappe con il pube, poi prendere a muoversi ritmicamente in lei sbattendole sonoramente contro le chiappe.

Il maschio sotto di lei allentò la presa e Sentini le face alzare il busto iniziando a palparle le grosse tette, il dolore era sempre fortissimo ma gradatamente si riduceva, Fiorina tornò a sentire il secondo cazzo che le scorreva nel ventre.

Si guardò inrtorno e vide che gli altri maschi si mastrubavano guardando la scena, a mano a mano che i membri tornarono eccitati, i giovani si diedero il turno nel farsi succhiare da Fiorina mentre Sentini continuava ad incularla a ritmo crescente. Uno alla volta i giovani, le vennero nuovamente in bocca, trattenendola e costringendola ad ingoiare il loro sperma, poi Sentini, senza sfilarsi da lei la trascinò indietro e lei dovette succhiare anche il giovane che sino a poco prima l’aveva scopata ed anche lui le scaricò in gola un’incredibile quantità di sperma. Fiorina esausta si accasciò sotto Sentini che continuava a martellarle le chiappe con il suo pube, ad un tratto, lo stentì staccarsi da lei con un’osceno risucchio, ed all’improvviso si ritrovò l’enorme cazzo davanti alla bocca.
“Adesso prendilo in bocca e succhialo tutto sino a bere la mia sborra lurida puttana” le intimò con voce minacciosa. Fiorina tremante, si avvicinò al cazzo. Era sporco d’inconfondibili tracce, puzzava terribilmente, lei si ritrasse, ma quando i suoi occhi incrociarono quelli minacciosi di lui, la paura ebbe il sopravvento e lei si spinse in avanti facendosi affondare l’enorme cappella in bocca “Troia, usa la lingua, puliscimelo tutto” le intimò ed a Fiorina non restò che obbedire. Pompò a ritmo frenetico, cercando di non respirare per non sentire l’odore che emanava quella mostruosa asta, si aiutò con la mano, sino a che non lo sentì contrarsi e un fiume di calda e densa sborra le allagò la bocca.

I fiotti si succedevano ai fiotti, un fiume impetuoso ed inarrestabile, Fiorina Inghiottiva con disperazione, ma non bastava, la bocca si riempiva, soffocandola iniziò a tossicchiare, il bianco liquidò le sfuggì dalle labbra mentre lui continuava a gemere e godere. Quando finalmente lui finì, semi soffocata Fiorina si abbandonò sul pavimento tossendo “Guardate questa troia, è tutta sporca di sperma, datemi una mano a pulirla ” sentì dire Sentini. Fiorina venne circondata dai maschi, ed all’improvviso, si sentì investita su tutto il corpo da un liquido caldissimo e si accorse che tutti le stavano orinando addosso, indirizzandole i getti principalmente sul volto e sul petto

Venne lasciata lì esausta umiliata piangente, ma la notte non era ancora finita, e prima dello scadere delle 24 ore sarebbe stata ancora usata in mille altri modi.

Gatto a nove code sulla schiena delle schiava

Tornai qualche minuto dopo, impugnando un gatto a nove code nero, con le lacinie lunghe circa un metro. Mi portai davanti ad Anna, e le presentai l’oggetto. “Questo è un gatto a nove code, schiava. Uno dei motivi per portarti qui è stata la necessità di punirti con strumenti adatti, e questo è proprio quel che ti serve. Si tratta di una frusta vera, progettata appositamente per fare male e segnare la pelle”. Feci dondolare lo strumento davanti ai suoi occhi vitrei: “Tra poco mi metterò dietro di te, e lo abbatterò con forza sul tuo corpo. Desidero farti soffrire molto, per punirti del tuo affronto e anche perché la cosa mi diverte. Ciascuna di queste cordicelle intrecciate ti lascerà dei bei segni rossi sulla pelle, e ti accorgerai subito che ti farà provare sensazioni molto diverse dalle sculacciate cui sei abituata. Siccome sei la mia schiava, e sei legata nuda in mio potere, non puoi fare nulla per fermarmi. La punizione terminerà solo quando sarò soddisfatto del colore del tuo sederino, e ti avverto che ho in mente una tonalità di rosso molto accesa”. Feci passare qualche istante, per imprimere nella mente della ragazza tutti i particolari di quella frase, il cui scopo era sottolineare ancora una volta il suo ruolo sottomesso. “Bene, ora voglio che tu mi chieda di darti la giusta punizione,” le ordinai. La sua voce era acuta e tremante per la paura: “M… La… La prego, padrone… S… sono stata molto cattiva… e… e… ho b… bisogno di essere… punita… la p… la prego d… di punirmi, padrone”.

“D’accordo,” risposi ostentando svogliatezza, “vorrà dire che ne approfitterò per insegnarti un po’ di fisiologia.” Mi spostai sul suo lato sinistro, soppesando la frusta. Le diedi ancora qualche secondo di quiete, per farle apprezzare al meglio gli importantissimi istanti che precedono il dolore, poi vibrai il primo colpo facendo atterrare le estremità delle corde sulla natica destra, senza trattenere in particolar modo la forza della frustata. Anna lanciò uno strillo acutissimo, che rimbombò fra le pareti della cucina. “Questa era la prima frustata che hai preso come schiava, la punizione che tutti i masochisti come te sognano sempre. Il dolore che senti è provocato dai recettori che hai negli strati superiori della pelle”. Mantenendo un tono calmo, vibrai il secondo colpo mirando all’altra natica. “Mmmhaaaaa!” “Ora vorrei che ti concentrassi sulle sensazioni che provi. Senti le differenze fra le due natiche? Quella di sinistra di brucia intensamente per il dolore, mentre nell’altra si è già fatto strada una specie di calore, simile a quello che provavi quando venivi sculacciata. Questo fenomeno è dovuto al fluire del sangue, che circola più rapidamente dove sei stata frustata”. Le diedi altre due frustate sul culo, lasciandola senza respiro con la seconda, che arrivò a metà del primo urlo. “Il motivo per cui ti piace tanto soffrire, Anna, è che i recettori del dolore sono esattamente gli stessi che quando vengono stimolati un po’ meno intensamente provocano il piacere”. Altre due frustate. “Hiii… Yaaah!” “Naturalmente tu godi anche perché sei una depravata che prova piacere nell’umiliazione, e nell’idea stessa di trovarsi nuda e torturata per il piacere altrui. Però il dolore intenso della frusta ti sta dando delle sensazioni molto intense, vero?” Per qualche secondo si sentirono solo i mugolii e il respiro pesante, soffiato, della mia vittima. Poi decisi di scioglierle la lingua con un’altra frustata, questa volta diretta alla base delle natiche. “Rispondi! Ti ho fatto una domanda!” “Uuuh…” singhiozzò la ragazzina, “Ahh… Sì… È vero… brucia tutto… dentro…”. Un altro colpo, che si andò a sovrapporre ai lunghi segni rossi che erano già spuntati sul culetto di Anna. “Ah, ah, Aaaarrr!!!” “Sei una piccola puttanella viziosa. Ora continuerò a frustarti, così faremo arrivare il calore fino alla tua figa vogliosa”. Le vibrai un’altra decina di colpi, cercando di coprire tutta l’area dei glutei. Facevo cadere le frustate incessantemente, sommando dolore a dolore: era una punizione piuttosto dura, ma la sottomissione perfetta della ragazza mi aveva spinto a forzare un po’ le tappe. Intorno al sesto colpo, Anna cedette: “Nnaahh! Nooo! Bastaaah! Haahrrgg! No! Pietà! Non ce… Uhuuu! Non ce la faccio piuuh! Yyaaah! Muoioooh!” La poveretta doveva davvero soffrire moltissimo, ma la cosa non faceva altro che stimolare la mia crudeltà. “No che non muori, schiava. Stai solo soffrendo per la punizione che meriti e che mi hai chiesto,” le spiegai sperando che mi sentisse, mentre continuavo la fustigazione, “Stai provando dolore perché sei un oggetto di mia proprietà e io ho deciso di farti soffrire”. Poi, finalmente, successe quello che speravo. Anche se dalla sua bocca continuavano a uscire lamenti, anche se le lacrime ormai cadevano libere sul pavimento, il corpo di Anna venne scosso da un tremito, stimolato forse dal dolore, forse dalle mie parole. Non appena sollevai la frusta dopo l’ennesimo colpo, tutti i suoi muscoli si contrassero nella forza inconfondibile dell’orgasmo, e ai mugolii di dolore si mischiarono quelli del piacere, in una favolosa sinfonia. Rimasi un attimo a osservare lo spettacolo: Anna era riuscita a godere sotto la frusta già alla sua prima fustigazione, e per un attimo forse la invidiai. Attesi un istante, poi la strappai alle ondate di piacere con un’ultima frustata, data proprio sulla fighetta gonfia e grondante di umori vischiosi. In cambio ricevetti un urlo acutissimo, che non aveva nulla del piacere, e in cuor mio pensai già a quando la avrei fatta godere anche con quel tipo di battitura.

“Sei una troia schifosa: hai goduto anche di questa punizione!” la spaventai, “Questo dimostra che quella di schiava è proprio la tua unica natura, e che meriti di essere trattata molto peggio di quanto non pensassi”. Anche Anna doveva esser sconvolta dalle sensazioni di quella punizione: dimenticandosi completamente del divieto di parlare, proruppe fra i singhiozzi in una litania che coronava il suo sogno di schiava: “Sì, sì, sono una schifosa… Peggio di un animale, peggio di tutto… Mi piace essere frustata… Essere legata…” Il pianto era diventato una crisi isterica in piena regola, caratterizzata da respiro breve, salti di tono nella voce, un pianto irrefrenabile accompagnato al tempo stesso da un’espressione inconfondibile di gioia e liberazione. “Sono sempre stata una lurida schiava masochista… Non valgo niente, non merito niente…” Gli eventi inequivocabili che la ragazza aveva appena attraversato avevano spezzato del tutto le dighe di pudore e moralità imposta che ne avevano oppresso la sessualità deviata in tanti anni, e ora il suo animo masochista più profondo stava prorompendo da quella falla, scatenato e irrefrenabile: “No, no, niente… Non dovrei neanche esistere… La frusta… La frusta è tutto quello che merito, e anche peggio…”

Lasciai sfogare liberamente Anna, mentre la slegavo dal tavolo. I suoi vaneggiamenti avevano nel frattempo cambiato tono, e si erano trasformati in un borbottio incomprensibile, confuso fra i singulti del pianto liberatorio. Sollevando senza fatica il suo corpo magro, presi la mia schiavetta, ora ancor più piccola e indifesa del solito, fra le braccia. Era la prima volta che le dimostravo un qualche affetto, e Anna ne rimase scioccata: per un attimo smise di piangere, mi guardò con gli occhi arrossati e pieni di lacrime e poi, stringendomi con una forza sproporzionata, scoppiò nuovamente nel suo pianto isterico. Era il momento di confortarla a modo mio, e stringerla sempre più nella mia rete: “Povera, piccola Anna,” la coccolai con tono caldo, “povera puttanella masochista… Sei proprio una vergogna, per te, per i tuoi genitori e per tutta la razza umana. Come fai a pensare di appartenere alla nostra razza, quando sei solo un animale depravato, capace solo di godere del dolore e delle umiliazioni?” Mentre la coccolavo, cullandola fra le braccia, provavo un particolare divertimento nel manipolare così la mente e il corpo di quella ragazzina. Per me non era niente più che un giocattolo: bello, forse persino utile, ma niente di cui non potessi privarmi in qualsiasi momento, indifferente al danno psicologico che avevo ormai creato nella sua testolina innocente. “Il tuo posto non è fra le persone, ma forse potrò fare qualcosa per te. Sarà molto difficile, forse sarò costretto a rinunciare, ma c’è una piccola speranza di riuscire. Ho intenzione di addestrarti, Anna, come si fa con un cane o una scimmia ammaestrata, che del resto sono sicuramente più in gamba di te. La tua unica speranza è di imparare a ubbidire perfettamente a qualsiasi ordine ti venga dato, anche al più difficile, umiliante e schifoso”. Anna ebbe un brivido, mentre il pianto si faceva più sommesso, “Poi dovrai imparare a essere un perfetto oggetto sessuale, capace di dare un piacere impareggiabile a chiunque voglia usarti. Da come ti sei comportata prima penso che sarà quasi impossibile, anche perché hai un corpo ributtante, che non potrebbe piacere a nessuno. Insieme però proveremo a rimodellarlo, e a renderlo qualcosa di almeno accettabile. In questo modo forse potrai diventare una vera schiava, e qualcuno potrebbe anche decidere di prenderti al suo servizio. Sai di chi sto parlando?” Senza muovere il volto, che teneva premuto con forza sul mio petto, la ragazzina mormorò: “No, padrone…” e riprese a piangere, anche se ormai la parte peggiore della crisi isterica era passata. “Mi riferisco a qualche sadico, magari a una donna o una coppia. Persone così esistono, proprio come esistono le troie masochiste come te, sai? I loro gusti però sono più comprensibili, e non sono ripugnanti come i tuoi. In tutta la storia dell’umanità, milioni di persone hanno dedicato la loro esistenza intera a dominare gli altri. Condottieri, imperatori, sovrani… ma anche comuni generali dell’esercito, preti, dirigenti o normali capoufficio. Il desiderio di soggiogare gli altri è giusto e accettato da tutti, mentre il tuo masochismo, la tua smania di essere usata e maltrattata, è davvero da voltastomaco.” Come sempre, mi rendevo ben conto di starle mentendo e di forzare ogni sua capacità critica con la violenza di un trauma, ma pensavo, e forse a ragione, che costruire per lei una logica, per quanto erronea, di contorno al suo ruolo di schiava, la avrebbe aiutata a vivere la sua sottomissione e ad esserne sempre più partecipe. Anna, da parte sua, era troppo sconvolta da quello che le era accaduto nelle ultime ore e nelle ultime settimane per potere trovare la forza di controbattere le mie argomentazioni, tanto più che il suo subconscio probabilmente non voleva altro che questo, che essere condotto per un sentiero facile anche se assurdo sino a potere accettare la trasformazione in oggetto senza volontà.

“I sadici di cui parlo esistono, e io ne conosco personalmente diversi, ma sono persone che hanno giustamente delle esigenze particolari, e non accetterebbero mai al loro cospetto una ragazzina inutile come te. Prima di poterli incontrare dovrai imparare la sottomissione assoluta, e anche a subire punizioni molto più dure di quella che hai avuto poco fa. Quella gente ama far soffrire davvero i loro schiavi, e non saprebbe cosa farsene di una puttanella come te, incapace di sopportare anche una fustigazione leggera come quella di prima”. Come sempre, le diedi un attimo di silenzio in cui potere interiorizzare quel che le avevo detto, e costruirsi una qualche immagine mentale di queste figure misteriose di cui le avevo parlato. “Allora,” conclusi, “desideri subire questo addestramento?”

La ragazza crollò a terra, stringendomi le gambe e baciandole in un entusiasmo parossistico: “Oh, sì, si, sì padrone! Sì, la prego, la supplico, mi faccia diventare una buona schiava! La imploro, voglio diventare una schiava perfetta, la migliore delle prostitute. Ubbidirò sempre, farò tutto quello che vorrà, proprio tutto. La prego, mi punisca, mi torturi, mi insegni a sopportare tutto, anche il dolore più forte! Sono una puttana masochista, e non desidero altro che soffrire, la prego!” Con un piccolo sogghigno, le diedi una leggera ginocchiata per allontanarla dalle mie gambe: “Allora mettiti in ginocchio col culo all’aria, schiava. Devo preparare qualcosa da mangiare”. Anna scattò in posizione, e mentre aprivo i sacchetti della spesa, non potei fare a meno di ammirare il riflesso delle sue natiche rosse e tremanti nel vetro di un mobile.

La cena fu breve e silenziosa. Io trangugiai un grosso panino imbottito, impaziente di proseguire i miei giochi con Anna. Alla mia schiavetta preparai invece del muesli, che buttato nel latte forma una pappetta a mio parere disgustosa, ma senza dubbio nutriente e dietetica al tempo stesso. Il pasto le venne servito in una scodella per cani, da cui le imposi di mangiare senza mani, proprio come un animale domestico. “D’ora in poi mangerai sempre così,” le comunicai, “come la cagna che sei. Questa roba dovrebbe aiutarti a perdere un po’ del tuo grasso schifoso.” Mentre la schiava lappava rumorosamente il suo pasto, mi fermai a contemplare la mia fortuna. Nel corso degli anni avevo conosciuto e posseduto diverse schiave, ma molto raramente ne avevo viste di così sinceramente votate alla sottomissione e al masochismo. Nella maggior parte dei casi si trattava infatti di ragazze accecate dall’amore, che avrebbero fatto qualunque cosa per compiacere il loro uomo. A volte erano semplici esibizioniste, o feticiste che sopportavano la disciplina e la tortura pur di godere delle loro passioni, e altre ancora erano donne la cui mente era stata fiaccata da anni di sevizie e umiliazioni sino a renderle perfettamente remissive, ma anche insensibili. Anna invece era molto diversa: per via della sua educazione, ma senza dubbio anche per predisposizione personale, amava sinceramente ogni maltrattamento inflittole, e come mi aveva dimostrato più volte aveva dedicato tutta la sua sessualità all’umiliazione e al godimento nel dolore. La mia opera logorante di convincimento forse non era nemmeno necessaria: lei era una ragazza intelligente e colta, e aveva solo bisogno di un alibi, per quanto improbabile, per abbandonarsi alle sue fantasie. Io non avevo fatto altro che dare una forma definita ai suoi sogni di annullamento e sofferenza, e in questo ciascuno si limitava a fare il gioco dell’altro. Ripensando agli incredibili responsi emotivi di quella ragazza nei primi giorni del nostro rapporto, decisi di forzare le tappe, almeno sino a quando Anna non avrebbe mostrato segni di ribellione. Quella sera, tuttavia, avevo già progetti molto impegnativi.

Anna smise di lappare un attimo prima che finissi il mio panino. Le diedi istruzioni di alzarsi, e lavare e riporre la sua ciotola. “Ti è piaciuto?” le chiesi, ironico. “Sì, padrone,” sussurrò dolcissima, guardandomi con la parte inferiore del volto ancora sporca di latte, “È stato il pasto più buono della mia vita”. Le feci cenno di avvicinarsi, e lei si inginocchiò al mio fianco, ubbidiente. Con un gesto rapido, le catturai un capezzolo fra le dita, e strinsi torcendolo, facendola inspirare forte e costringendola a contorcersi, pur mantenendo la sua posizione, per il dolore. “Maledetta ingrata!” urlai fortissimo, “Stronza e schifosa ingrata! Il cibo più buono della tua vita è stato il mio sperma, non questa roba! Hai capito? Per te non deve esistere niente di più buono di ciò che produce il tuo padrone! È chiaro?” Il volto di Anna, i cui seni non erano ancora abitutati a subire certe attenzioni, era una maschera contorta: “S… Sì padrone! Mi… Aaahhh… perdoni padrone, sono stata… hhhh… un’ingrata… Mmmmhhhh… È il suo sperma il cibo più buonooohhh…” Lasciai il capezzolo, e la ragazza si raddrizzò lentamente. Mi alzai, trascinandola in salotto per il guinzaglio. La sua sofferenza mi aveva eccitato tanto che non potevo più rimandare. “Libera quel tavolo,” le ordinai bruscamente, indicando un basso parallelepipedo di legno che mi era stato regalato anni prima. Mentre ubbidiva, raggiunsi velocemente la camera da letto e tornai con un barattolo di vaselina. “Faccia a terra,” le intimai, “e allarga bene le gambe. Tienile così,” le posizionai senza complimenti le caviglie, “e offrimi bene il culo”. Presi una buona quantità di lubrificante su un dito, e cominciai a spalmarglielo sullo sfintere anale, facendola trasalire. “Stai ferma,” la preparai, “è solo vaselina: serve per lubrificarti il culo per questa tua prima penetrazione. Rilassati”. Come prevedibile, Anna mantenne invece il forellino molto contratto, e quando le spinsi dentro l’indice mugulò per il dolore. “Più stringi e peggio sarà,” le spiegai esplorando la sua calda cavità, “ricordati che il tuo dovere è di essere accogliente per i tuoi padroni”. Anna riuscì a rilassare il muscolo un attimo, e ne approfittai per inserire anche il medio. “Aaah…” Ruotai le due dita inclinandole in ogni direzione: l’ampolla rettale era piccola, e con la punta del medio percepii un pezzo di cacca pronto a essere espulso. “Mmmhh… nghh…” I gemiti della mia schiavetta erano eccitantissimi, e avevo il cazzo duro come un paletto. “Sdraiati sul tavolo,” le ordinai, estraendo con un curioso rumore di risucchio le dita unte. Anna obbedì impacciata, e fui io a sollevarle le gambe e ad appoggiarmele sopra le spalle. Lei guardò il mio pene con un’espressione evidentemente spaventata, valutandone le dimensioni rispetto a quelle delle dita, e la vidi mordersi il labbro inferiore in un gesto di un erotismo indefinibile. “Ora rilassati, schiava,” le intimai, “ricordati che esisti solo per dare piacere a chi ti usa, capito?” Anna annuì nervosamente, e muovendola un poco per prenderne di mira l’ano, cominciai ad appoggiarvi il glande, rosso e congestionato. Anna mugulò, irrigidendo i muscoli del collo e delle spalle. Io spinsi. Anna gemette, mentre sentivo il buchetto cedere con difficoltà alla pressione. Spinsi ancora, lento ma implacabile. “Aaaaaa…” si lamentò in maniera irreale, e io spinsi, “…AAAAAAAHHHH!” Il glande penetrò completamente, risucchiato subito dallo sfintere. Sul volto di Anna scivolarono lacrime silenziose, mentre il respiro le si faceva affannoso. “Ho detto di rilassarti, troietta incapace!” le urlai, affondando il pene nella carne calda. Guardavo la faccia della ragazzina, che teneva gli occhi stretti come per paura di vedermi, e ogni contrazione della sua bocca mi incitava a entrare sempre di più, sempre più a fondo, godendo ogni istante della contrazione spasmodica del suo sederino vergine. “Ti fa male, eh? Ècco, soffri per il piacere del tuo padrone!” le sibilai quando finalmente tutto il mio sesso era stato inghiottito dal suo intestino. Il mio ventre sfiorò la sua vagina, trovandola già umida. La mia allieva non si smentiva, e anche quell’inculata senz’altro dolorosa la stava eccitando. Le appoggiai le mani sui seni, e cominciai a ritrarmi lentamente dalle sue profondità. Con pochi gesti rapidi trasformai i suoi capezzoli in cilindretti durissimi, che urlavano la loro eccitazione puntando al soffitto. Assaporai il concerto di piacere e dolore nato dai nostri corpi quando arrivai nuovamente a forzare lo sfintere, questa volta dall’interno, e con un movimento lentissimo che tolse il fiato ad Anna, lo estrassi sporco di tracce marroni e dei filamenti bianchi della vaselina. Un solo istante di pausa, ed ecco un’altra violenza, un’altra forzatura di quel delizioso anellino di carne. Questa volta entrai con più facilità, naturalmente, ma ancora Anna urlò il suo dolore senza ritegno. Vederla singhiozzare mentre si sottoponeva a quello stupro, osservarne il clitoride rosa spuntare ribaldo dalle pieghe più intime, mi fece perdere ogni controllo. Di lì a poco, mi trovai a scoparla con violenza, con l’unico scopo di farla urlare, soffrire, piangere… e godere. Presto il pene potè affondare senza difficoltà nel suo culetto bianco, e uscirne liberamente con un solo, lievissimo “plop”. Il suo intestino ormai mi accettava, e ne sentivo le pulsazioni roventi sull’asta del piacere. Ancora qualche affondo, e schizzai tutto il mio orgasmo nelle calde profondità della mia vittima, che ora mugolava a ritmo con la mia penetrazione. Estrassi il pene filante di umori biancastri ripulendolo con attenzione con un fazzoletto: e senza fare abbandonare la lubrica posizione ad Anna cominciai a masturbarla, facendola godere in pochi istanti. “Ti piace, piccola puttanella?” la umiliai, “Ti piace prenderlo in culo, eh? Eppure anche così non vali niente, guarda come mi hai sporcato,” le dissi mostrando il fazzoletto pieno di tracce marroni. Anna, ancora scossa dall’orgasmo, aprì bocca per rispondermi, ma in quel momento squillò il telefono. Il tempismo dello scocciatore era notevole, ma nonostante tutto pensai fosse divertente mostrare alla mia schiavetta come una telefonata qualsiasi fosse più importante di lei, e mi alzai per rispondere, con i pantaloni ancora abbassati.

“Sono Ettore,” mi rispose la voce all’altro capo del telefono, “ti disturbo?” Si trattava del medico che non ero riuscito a incontrare nel pomeriggio. Rassicuratolo, passò subito al motivo della telefonata. “Greta mi ha detto della ragazza che le hai portato oggi. Senti,” prese tempo forse un po’ imbarazzato, “è vero che è ancora vergine?” Ettore e io ci eravamo conosciuti molti anni tramite un’inserzione pubblicata su una rivista erotica. Lui e la moglie cercavano una schiava con cui giocare, e io avevo deciso di portar loro la mia vittima di allora, che aveva mostrato molto interesse nello scambio di padroni. Durante i nostri incontri successivi, avevamo discusso delle nostre preferenze, ed Ettore aveva dichiarato la sua grande passione per le ragazze vergini, che aveva tante volte immaginate nei panni di schiave da violentare senza riguardo. Girai lo sguardo verso Anna, ancora in posizione sul tavolino. “Certo. Ma per poco. Le ho appena inaugurato il culo: avessi sentito che strilli!” Sentii entrare il medico in fibrillazione: “Allora fermati, ti prego. Lo sai della mia fantasia, no? Fammela sverginare: ti darò tutto quel che vuoi!”

Mi sentivo fortissimo nel mio ruolo di gatto col topo, e ora addirittura con due vittime. “Mah, non saprei… Perché non le parli, mentre ci penso?” proposi facendo cenno alla ragazzina di avvicinarsi. Le passai la cornetta con sguardo severo, e mi sedetti in poltrona a gustarmi la telefonata, e l’ennesima umiliazione di Anna. “Anna, signore,” la sentii sussurrare nel telefono. “Diciotto”. “In aprile, signore”. “I… Sì, signore, sono una schiava masochista. Io g… mi piace soffrire, e farmi umiliare, signore”. “G… godo. Stavo dicendo ‘godo’”. “Sì signore. Una puttanella incapace”. “Io… Io… Sì, all’inizio mi ha fatto molto male, ma poi mi è piaciuto. S… anche per il dolore, signore”. “Hrm… Sì, mi brucia tutto, signore”. “Il sedere. Il buco del sedere”. La ragazza arrossiva sempre più, e ora rispondeva stringendo gli occhi in una smorfia di vergogna profonda. “Sì, signore, questo pomeriggio”. “Tutto… No, non ne ho perso neanche una goccia”. “Ah… No, signore, ma imparerò”. “Come?”, “Sì”. “Sì, sono ancora vergine, signore”. “Solo ogni tanto… no, solo con le dita”. “Sì. Se il mio padrone lo desidera sì, signore”.

Anna mi porse il ricevitore con il braccio tremante, e non appena lo presi crollò su se stessa, appallottolandosi in posizione fetale e coprendosi il volto con le mani, scossa dall’ennesimo pianto.

“Sei un cattivo, Ettore,” scherzai con il mio amico, “me l’hai fatta piangere”. “È una bomba,” mi rispose affannato per l’eccitazione, “del tutto remissiva. Dimmi cosa vuoi per la sua fighetta, forza”. Sorrisi, pensando alle possibilità della richiesta. “Non saprei. Facciamo così: tu vieni domani sera e facci quel che vuoi, e quando sarà il momento ti farò sapere”. Ci accordammo per le otto di sera, e non appena abbassata la cornetta spiegai la situazione alla mia schiava.

“Era il marito della dottoressa che hai visto oggi. Lui, che è abituato a maneggiare corpi malati e schifosi, ha accettato di sverginarti quella figa disgustosa. Io non ce la farei mai, soprattutto dopo la pessima esperienza di averti usato il culo”. Anna tenette gli occhi bassi, vergognandosi di chissà quali inadeguatezze. “Tu non hai la più pallida idea di come si possa eccitare un uomo, e per il momento ti sei salvata solo perché il pene è concepito apposta per rispondere comunque a certi stimoli meccanici. Con la figa però non puoi avere il controllo della lingua, o la capacità di contrazione del culo, e voglio almeno risparmiarmi la fatica di sverginarti”. Ironicamente, era quasi vero. Al di là del fatto che mi era stato più che sufficiente godere due volte, ho sempre amato di più gli altri due canali. Scopare una figa non mi dispiaceva certo, ma trovavo molto più eccitante i rapporti cosiddetti “contronatura”, senz’altro più umilianti e meno piacevoli per la donna. Anche se l’avrei senz’altro visitata, avevo progetti di tutt’altro genere per la vagina di Anna, ed ero sicuro che la sua remissività assoluta li avrebbe assecondati alla perfezione. “Ora vieni con me”.

Conducendola come sempre per il guinzaglio, a quattro zampe, portai la mia schiava nella camera degli ospiti, dove le mostrai una scrivania. “Questo è il posto dove studierai tutti i giorni. Naturalmente lo farai stando in ginocchio, appoggiando i libri qui”. Anna non sembrò molto entusiasta di ricordare i suoi doveri di studente, ma annuì in silenzio. “Ora andrò a lavarmi e a ripulirmi della tua merda schifosa. Tu puoi cominciare a studiare”.

Rimasi nell’idromassaggio a lungo, rilassandomi dopo le emozioni della giornata. Ripassai mentalmente i progetti per il giorno successivo, e quando uscii dalla vasca trovai Anna come le avevo ordinato. La porta della camera incorniciava perfettamente il suo corpo bianco, colorato solo sulle natiche dai segni della fustigazione. “Vieni qui,” la chiamai, facendola accorrere come un cagnolino fedele in salotto, dove mi sprofondai su una poltrona, vestito solo con il mio accappatoio. Anna si dispose in ginocchio di fronte a me, in attesa di ordini.

“Una cosa importante che devi imparare è mostrare rispetto e sottomissione al tuo padrone,” la istruii. “Immagino che tu sappia che un modo per farlo è baciare i piedi”. Anna mi guardò interdetta. “Su, muoviti, leccami i piedi, schiava!” mi spazientii. Al suono irritato della mia voce, la ragazza si precipitò a fare quel che le era stato ordinato, anche se molto goffamente. “Ma insomma, è tanto difficile comportarsi come la cagna che sei? Allarga bene quella lingua e premi bene. Lecca bene, adora il corpo del tuo padrone, schiava!” Anna capì subito cosa intendevo, e si produsse in favolose lappate. Sollevai un piede: “Ora lecca anche in mezzo alle dita. Sì, così. Ricordati che toccare il corpo del tuo padrone è un privilegio che devi dimostrare di apprezzare. Se non ti interessa, posso sempre riportarti dai tuoi genitori”. La sua linguetta si insinuò inarrestabile in ogni anfratto, terrorizzata dall’idea. “Prendi le dita fra le labbra, baciale come se stessi facendo un pompino”. Anna ubbidì, ormai con entusiasmo. “Ricordati che sei una schiava, e vivi solo per dare piacere al cazzo del tuo padrone. Servire il mio cazzo deve essere il tuo più grande desiderio, e quando non puoi devi dare lo stesso trattamento al resto del mio corpo. Impara a leccare, baciare e succhiare”.

La feci proseguire per diversi minuti, prima su un piede e poi sull’altro. La mia schiavetta aveva compreso ogni istruzione, e si avventava ora sulle mie estremità come infoiata, come se avesse avuto la fica al posto della lingua. Era un’esperienza deliziosa, ma non potevo perdere l’occasione di tanta passione per proseguire l’addestramento della mia volenterosa sottomessa. “Ora basta,” le dissi terminando un grazioso concerto di rumori di lingua, “prima hai visto dov’è la mia camera da letto, e dove tengo le pantofole. Ora fai la brava cagnolina e vammele a prendere”. Le sganciai il guinzaglio e la lasciai partire trotterellante come un vero animaletto domestico… con la differenza che la visione del suo culetto roseo, delle cosce fra cui spuntava la figa deliziosa e delle tette a penzoloni mi ispiravano pensieri ben diversi che non un cane qualsiasi. In un paio di minuti, Anna tornò con le pantofole fra i denti, e le lasciò ai miei piedi. “Mettimele,” ordinai laconico, e la ragazza ubbidì usando le mani. Era quello che aspettavo. Quando ebbe finito mi alzai, raggiunsi la cucina e tornai, tenendo fra le mani due comuni mollette da bucato.

“Come sempre, hai dimostrato di non essere buona a nulla,” dissi calmo. “Hai forse mai visto un cane che usa le mani?” “N… No padrone,” sgranò lei gli occhi, non capendo a cosa mi riferissi. “E allora perché non hai usato quella tua lurida e inutile boccaccia per infilarmi le pantofole?” Anna era senza parole. “Come vedi, mi costringi a punirti ancora. Siccome è la prima mancanza di questo tipo, sarà una punizione leggera, ma spero che ti serva da lezione”. Come avrete già intuito, la punizione in questione consistette nell’applicarle le mollette sui capezzoli, che alla sola idea del dolore imminente si erano subito eretti. Anna le guardò preoccupata mentre mi avvicinavo ai suoi boccioli rosa scuro, ma sopportò molto bene la stretta per lei nuova, facendosi scappare solo un leggero lamento.

“Sai perché uso queste mollette, schiava?” le chiesi bonario. A una sua risposta negativa, proseguii: “Ho scelto che siano dei pezzi di plastica a darti dolore, perché il tuo corpo non è degno delle mie attenzioni o del mio impegno. Ti fanno male?” “Un po’, padrone”. “Bene. È per questo che te le ho messe. Per farti male. Anche se sono uno strumento punitivo, devi essere orgogliosa di portarle. Lo devi essere perché rappresentano la mia volontà e il mio dominio sul tuo corpo e sulle tue sensazioni, ma anche perché ti aiuteranno a essere più bella”. La ragazza mi guardò senza avere capito l’ultima frase. “Innanzitutto, l’unica speranza che hai di interessare chi ti sta vicino sta nel dimostrare il tuo masochismo più profondo, e indossare degli strumenti punitivi è un ottimo modo per farlo. Poi queste mollette stimolano i tuoi capezzoli e li rendono più sensibili. Questo ti renderà più appetibile dal punto di vista sessuale, anche se siamo ancora molto lontani da livelli accettabili. Infine, ritengo che i capezzoli lunghi siano più belli a vedersi di quei brufoli inutili che hai adesso, e ogni tipo di trazione può contribuire a migliorarne un pochino l’aspetto. Hai capito?” “Sì padrone. Grazie per essersi occupato di questo mio corpo indegno”.

“Oooh,” approvai, “questa sì che è una risposta degna di una schiava. In premio, meriti di poter baciare anche le mie scarpe”. Un attimo di sconcerto, e Anna si abbassò a baciarmi la punta di una pantofola. “Non così: devi leccarle con passione, come hai fatto con i piedi. Queste pantofole sono un oggetto di mia proprietà, che mi degno di mettere a contatto col mio corpo di padrone, e per te devono essere una reliquia preziosa”. La ragazza, forse resasi conto che le calzature non erano certo sporche, cominciò a lappare con l’ardore di prima. “È ora che tu impari le funzioni del tuo corpo, schiava”. Anna era stata sempre attenta e recettiva, e non vedevo motivo di interrompere il suo addestramento psicologico.

“Ora che sei una schiava, il tuo corpo è composto da molte meno parti, che hanno funzioni diverse da quelle che conosci. La bocca, che stai usando adesso, serve per baciare, leccare e ingoiare tutto ciò che il tuo padrone decide di mettervi. Tu non sei altro che una pattumiera, un cesso. Parte del tuo addestramento consisterà nell’insegnarti ad apprezzare sapori che ora non conosci, e a farti comprendere a fondo il tuo ruolo di contenitore senza volontà. La lingua adesso è solo uno strumento sessuale e di adorazione, che dovrai imparare a usare molto meglio di così. La sua altra funzione, molto secondaria, è quella di permetterti di rispondere alle domande che ti vengono fatte e di far divertire i tuoi padroni con i patetici lamenti che emetti quando vieni punita”. Rimasi un secondo ad ammirare il lavoro di pulizia che Anna eseguiva con dedizione: “Naturalmente, come stai dimostrando, la lingua è anche uno strumento di pulizia, che può essere usato in molti modi. Ricordati di leccare bene anche le suole”. La ragazzina si era ormai fatta prendere dalla foga masochistica dell’umiliazione, e ubbidì immediatamente, con lunghe lappate premute con forza sul cuoio.

“Poi abbiamo i seni. Come è evidente dalla loro sensibilità, l’unico motivo della loro esistenza è poterti dare dolore, e dare ai tuoi padroni qualcosa da torturare. Per questo motivo averli piccoli come i tuoi è una colpa molto grave per una schiava, e dovremo fare qualcosa al riguardo”. Anna leccava con dedizione, muovendo la testa in una danza lasciva attorno ai miei piedi. “Poi ci sono la figa e il culo. Sono due buchi, e il loro scopo è di essere riempiti con tutto ciò che desiderano i tuoi padroni. Per questo, dovremo addestrarli tutti i giorni e dilatarli quanto più possibile per renderli bene accessibili”. “L’ultima parte del tuo corpo sono le natiche, che servono per essere frustate e per mostrare sempre i segni delle punizioni, in modo che tutti capiscano a prima vista il tuo ruolo di schiava. Per fortuna sono un po’ più resistenti delle tette, e quindi subiranno le maggiori attenzioni. È importantissimo che ti brucino sempre, per ricordarti in continuazione che sei solo una schiava nata per soffrire. Smetti di leccare e rispondi: ti bruciano in questo momento?”

Anna sollevò gli occhioni scuri: “Sì padrone, mi fanno ancora tanto male”. “Perfetto,” le sorrisi, “ricordati di avvertirmi non appena il dolore si dovesse attenuare, capito?” “Sì padrone,” sospirò la schiavetta, “Mi scusi, posso avere il permesso di fare pipì? Mi scappa tanto…” Guardai le pantofole, muovendo i piedi per rimirarle. “Mi sembra che tu abbia fatto un buon lavoro con la lingua. Va bene, ti farò vedere come devi pisciare da ora in poi, ma prima vieni qui”. Con una mossa rapida, staccai contemporaneamente le mollette dal petto della schiava, che si lasciò scappare un urletto acuto di dolore. Allacciai nuovamente il guinzaglio al collare, e trascinai Anna verso il bagno. Arrivati davanti alla tazza, cominciai la nuova umiliazione. “Apri il cesso e salici sopra. No,” la strattonai, “non così. Quello è il modo in cui pisciano le donne normali, ma tu sei una schiava. Alza anche l’asse, e poi sali in piedi sui bordi della tazza”. Anna ubbidì, un po’ barcollante. “Ora accovacciati, e apri bene le gambe, in modo da esporre la figa. D’ora in poi dovrai usare questa posizione oscena sempre, anche quando ti troverai in casa d’altri o in un locale pubblico. In questi ultimi casi non dovrai mai chiudere a chiave la porta, in modo che le persone possano entrare e vederti la figa, capendo subito che sei una puttana esibizionista e perversa. Hai capito?” La ragazza arrossì violentemente, immaginandosi senz’altro pescata in quella posa da uno sconosciuto: “Sì, padrone”. In realtà, le occasioni di dare quel genere di spettacolo in una situazione “non controllata”, con persone che non fossero al corrente della sua schiavitù, sarebbero state molto poche, ma mi faceva piacere che pensasse di essere così esposta. “Ora puoi pisciare,” le concessi, “ma davanti ai miei occhi. Tu sei solo un oggetto di mia proprietà, e non hai nessun diritto a una vita privata”. Anna mi gettò un’occhiata indescrivibile, misto di vergogna, eccitazione e orgoglio per come si stava comportando bene nel suo nuovo ruolo: fece un piccolo sospiro, e dalla sua fighetta di diciottenne piovvero alcune gocce di pipì, che raggiunsero con rumore allegro la ceramica del water. Dopo un attimo di pausa, arrivò un piccolo zampillo, e infine una cascata di liquido giallo e odoroso. Io amo molto il pissing in ogni sua forma, e osservai con piacere lo spettacolo sino alla fine, quando un ultimo sprizzo solitario concluse l’evacuazione. “Pulisciti e scendi” ordinai, e dopo avele fatto tirare l’acqua la riaccompagnai a quattro zampe nella sua camera. Da un cassetto della scrivania presi un block notes, di quelli che usavo per prendere appunti anni prima, quando ancora facevo l’inviato per i quotidiani, e una biro.

“Ora ti insegnerò l’ultima lezione di oggi, schiava,” le dissi porgendoglieli. “Voglio che tu tenga sempre un diario, che dovrai compilare alla fine della giornata, quando sarai congedata. Devi scrivere tutto quello che hai fatto durante la giornata, ma soprattutto i tuoi pensieri più intimi, e le descrizioni di tutte le tue sensazioni durante le punizioni e mentre sei stata usata, assieme a un elenco preciso delle punizioni ricevute e degli usi sessuali che sono stati fatti di te. Naturalmente non si tratta di un diario privato, perché le schiave non hanno il diritto di possedere nulla, ma ti posso preannunciare che non lo leggerò spesso. Lo scopo è di farti ragionare sui tuoi errori, e di farti apprezzare la fatica che viene fatta per addestrarti. Domani troveremo un vero diario, ma stasera puoi scrivere qui”. “Sì, padrone”. “Ora sono stanco e voglio andare a riposare, ma prima dobbiamo fare una cosa”.

Tirandola dietro di me senza ormai non sentirla quasi più strattonare il guinzaglio, la portai al telefono. “Ora devi chiamare i tuoi genitori. Dì loro che sei arrivata a Londra, che ti sei sistemata nella tua stanza che va tutto bene. Le suore sono simpatiche, il posto è bello e le lezioni cominceranno domattina”. La telefonata fu molto breve: anche stando lontano dalla cornetta sentivo la voce acuta ed esagitata di sua madre, agitatissima per la lontananza della figlia, ma Anna fu molto brava a calmarla. A un mio gesto, improvvisò: “No, va tutto bene. State tranquilli. Ora devo lasciarvi, perché ho pochi gettoni… Vi richiamo tra un paio di giorni, tranquilli…” Abbassai il contatto sull’apparecchio per interrompere la comunicazione, e con gli occhi umidi la piccola Anna mi porse la cornetta. Forse sarebbe stato il momento giusto per farle una delle mie tirate sui suoi poveri genitori, sulla sua schifosa depravazione e così via, ma lasciai perdere, tornammo in camera, dove le diedi le ultime istruzioni. “Scrivi quello che ti ho detto, poi spegni la luce e dormi. Siccome sei una schiava, non ti è permesso di usare il letto: dormirai sul pavimento, come un animale. Domani mattina sarò io a svegliarti, anche se in futuro questo compito spetterà a te. Solo per questa sera, se vuoi, ti concedo di masturbarti prima di dormire”.

Intenerito dalla sua immagine delicata alla luce calda della lampada sulla scrivania, mi chinai a darle il bacio della buona notte, sulla fronte. Lei assunse un’espressione ancor più adorante del solito: “Grazie, padrone. Buonanotte, padrone”. Stanco ma soddisfatto, mi gettai sul letto, godendomi il fresco del climatizzatore. Prima di addormentarmi, riuscii a sentire chiaramente i mugolii sommessi di Anna, che si toccava ripensando alla sua prima giornata da schiava.

La mattina seguente mi svegliai presto, spinto dallo stesso entusiasmo che tira i bambini giù dal letto la mattina di Natale, per giocare con i loro regali nuovi. Trovai Anna già sveglia, e la spedii subito a farsi una doccia nel bagno degli ospiti, mentre io mi preparai con calma alla giornata intensa che mi attendeva. La prima ora della mattinata fu molto tranquilla: ordinai alla schiavetta di prepararmi la colazione, mostrandole dove si trovasse tutto il necessario, e la lasciai lappare una semplice ciotola d’acqua in ginocchio sul pavimento. Di tanto in tanto la interrogavo su ciò che le avevo spiegato il giorno prima: il modo in cui doveva considerare il suo corpo, i suoi difetti, i suoi doveri. Anna rispondeva sempre perfettamente, in maniera umile, senza dimenticare nemmeno un dettaglio: nonostante gli shock del giorno prima, la sua mente era rimasta perfettamente ricettiva, e aveva memorizzato tutto. Quasi non credevo alla mia fortuna: una schiava così non si vedeva nemmeno nei fumetti, e io ero riuscito a trovarla senza alcuna difficoltà.

Finalmente, venne l’ora di apertura dei negozi. Scesi in cantina un attimo, e al ritorno chiamai la schiavetta al mio cospetto. “Questo è il ripostiglio,” le dissi indicandole una porta. “Siccome sei un oggetto e in questo momento non mi servi, è il posto che ti compete”. Presi Anna per un braccio, e la trascinai nello sgabuzzino, pieno di scaffali su cui tenevo gli attrezzi per la pulizia e qualche vecchia cianfrusaglia. “Ora te ne starai qui, buona e in silenzio fino a quando non avrò voglia di tirarti fuori, capito?” La ragazza fece un segno di assenso con la testa, con un’espressione un po’ preoccupata negli occhi. “Questo,” le dissi porgendole un realistico fallo di gomma che la lasciò sinceramente stupita, “ti terrà impegnata in mia assenza. Voglio che lo usi per imparare a fare dei pompini decenti”. Anna prese l’oggetto con un gesto insicuro. “Mettitelo in bocca, e impara a prenderlo tutto fino in gola”. Senza altre parole, chiusi la porta dello sgabuzzino e spensi la luce sul volto perplesso di Anna, rimasta del tutto interdetta. Era importante che conoscesse le sensazioni strane e umilianti dell’isolamento, e per di più non volevo che sentisse le telefonate che stavo per fare.

Prese le pagine gialle, mi sprofondai infatti in poltrona e cominciai ad organizzare la giornata. La prima cosa che cercai fu un centro estetico: trovarne uno aperto in piena estate non fu facile, e le prime due ragazze che mi risposero non erano in grado di fare quel che avevo chiesto loro. Qualche squillo a vuoto dopo, ottenni quel che mi serviva: si trattava di un piccolo centro un po’ in periferia, e l’estetista che rispose non batté ciglio alla mia richiesta di una depilazione intima completa. Presi appuntamento per la mattinata stessa, e passai oltre: tutti i negozi che mi servivano erano aperti, e impiegai in tutto una mezz’oretta circa.

Tornato al ripostiglio, trovai Anna in piedi, nella posizione rigida che assumono di solito i mangiatori di spade. Aveva il volto paonazzo e le lacrime agli occhi, ma il fallo finto, lucido di saliva, era scomparso quasi interamente fra le sue labbra. Strizzando gli occhi per la luce improvvisa che entrava dalla porta, la ragazzina si sfilò l’osceno oggetto dalla bocca, e abbassò gli occhi: “Padrone, posso parlare?” lamentò. Concessole il permesso, si confessò con me con la voce bassa, come una bambina che avesse rubato le caramelle: “Ho… sporcato, padrone. Non sono riuscita a trattenermi: è venuto su e…” Guardai il pavimento, notando una piccola pozza chiara. Mentre Anna continuava a parlare, capii che non si trattava di orina, ma dell’acqua che aveva bevuto per colazione, rigettata per lo stimolo del pene di plastica in gola.

Sibilando di furore simulato, la fissai gelido negli occhi: “Piccola stronza ingrata… Ti dò la possibilità di imparare a essere almeno una puttana, e tu mi ringrazi sporcandomi la casa!” Presi uno straccio da un ripiano, e glielo gettai in faccia con disprezzo. “Pulisci con questo, poi vai in bagno e lava lo straccio. Puoi lasciarlo ad asciugare nella vasca. Poi,” e su queste parole indurii ulteriormente il tono, “vieni da me a ricevere la punizione che meriti”. Mi allontanai sdegnoso, mentre Anna cadeva alle mie spalle in ginocchio, a strofinare il pavimento come una vera e propria Cenerentola.

La ragazzina mi raggiunse a quattro zampe dopo una decina di minuti, e si pose in posizione, in ginocchio a gambe larghe e con le braccia incrociate dietro la schiena, davanti alla poltrona su cui la aspettavo. “Mi hai fatto un affronto gravissimo, schiava,” le spiegai mentre la accompagnavo verso una sedia poco distante, “Il grande onore che hai di usufruire del mio tempo e della mia casa per il tuo forse inutile addestramento non ti dà certo il diritto di comportarti come un maiale, e di sporcare dappertutto”. Con un moschettone da vela, le allaccai dietro la schiena le polsiere fra loro, agganciandole anche allo schienale della sedia. Anna si faceva disporre docilmente nelle posizioni che sceglievo per lei, e intanto ascoltava a testa bassa la mia ramanzina. “Quello che hai fatto merita una punizione adeguata, ma purtroppo ora non ne abbiamo il tempo. Per il momento,” scandii mentre passavo una corda fra gli anelli delle cavigliere, “prenderai solo qualche frustata, ma questa sera ti insegnerò cosa vuol dire ‘rispetto’”. La ragazza si era irrigidita al pensiero di una nuova fustigazione. Tirai la corda delle cavigliere dietro le gambe posteriori della sedia, facendole alzare i piedi da terra, e la annodai sul suo ventre bianco e piatto, bloccandole il busto alla spalliera.

In un certo senso, ero sinceramente arrabbiato per quel che aveva combinato nello sgabuzzino, e quando Anna mi vide impugnare la frusta che avevo usato il giorno prima sul suo sederino, provai una piacevole eccitazione nel vederne l’espressione spaventata. Senza attendere oltre, mi avvicinai al suo corpo tremante e lasciai cadere un colpo di media forza sui seni della ragazzina, che sobbalzò lottando contro i legami. Per una volta, non mi preoccupai del suo piacere: mi limitai a infierire sul petto sobbalzante assaporando la sofferenza che le infliggevo. Anna si agitò presto scompostamente, urlando con forza a ogni colpo, specialmente quando una sferza le centrava un capezzolo. “Aaaaargg!…. Mhhuuaaaah!… NonononoNoooh!… Muooioohoo!…” Le diedi circa una dozzina di frustate, che le facevano scuotere con forza la testa e sollevavano i capelli in strane traiettorie. Mi fermai quando i seni erano coperti di lievi linee rosse, e la violenza dei sobbalzi della mia vittima stavano per rovesciare la sedia su cui era immobilizzata. Avevo il fiato corto per l’eccitazione e il movimento, e rimasi un attimo a osservare la mia schiava, che singhiozzava tutto il suo dolore e inspirava rumorosamente con il naso congestionato. Anna non aveva provato piacere in quella fustigazione, e anche se probabilmente avrebbe tenuto fede al suo patto di sottomisione, mi resi conto di rischiare di perderla proprio un attimo prima dell’unico momento in cui non la avrei potuta tenere d’occhio. Mi immaginai l’estetista stupita davanti ai suoi segni, che la incitava a scappare o a rivolgersi alla polizia: dovevo fare qualcosa per legarla a me, e anche se la mia intenzione originaria era di non mostrarle mai alcun interesse o affetto nei suoi confronti, feci l’unica cosa possibile. Senza dire una parola, mi abbassai a slegarle le gambe, e mettendomi di fronte a lei ne spostai il bacino in avanti, verso il bordo della sedia. Poi, con un certo imbarazzo anche se con piacere, avvicinai la bocca alla fighetta vergine, e cominciai a leccare.

Si trattava di un’esperienza del tutto nuova per Anna, che trasalì prima di abbandonarsi alle sensazioni per lei misteriose della mia lingua sul suo sesso. In brevissimo tempo, sentii le piccole labbra gonfiarsi e distendersi, mentre il clitoride si induriva e spuntava dalla sua protezione di carne. La ragazzina cominciò presto a mugulare di piacere, e infine esplose il suo godimento fra le mie labbra, bagnandomi di succhi dal profumo eccitantissimo con un piccolo urlo.

Finii di slegarla senza che nessuno dicesse una parola, e le slacciai le fasce di cuoio che le stringevano polsi e caviglie. Con pochi comandi secchi, le indicai cosa indossare per uscire e la feci salire in macchina. Quando finalmente fummo per strada, poi, la ragazza ruppe il silenzio: “Padrone, dovrei fare pipì”. Sollevato per la fine dell’impasse, risposi fingendo indifferenza. “Ti sto portando da un’estetista. Piscerai lì, nel modo che ti ho spiegato. Ho già dato ordine che ti depilino il culo, la figa e tutti i peli superflui: assicurati che facciano un lavoro accurato, così farai forse un po’ meno ribrezzo a guardarti”. “Sì, padrone”. “Se qualcuno ti chiede qualcosa dei segni che hai sul corpo, dì la verità. Fammi sentire la risposta,” ordinai. Anna pensò un attimo prima di parlare: “Sono segni di frusta. Io sono masochista, e ho trovato una persona tanto buona che si occupa di darmi quello di cui ho bisogno”. Era una ragazza molto intelligente, e glielo feci notare. “La prenotazione è a nome di Anna Schiava. D’ora in poi sarà questo il nome con cui ti presenterai sempre”. La ragazza sorrise compiaciuta. “Tornerò a prenderti tra tre quarti d’ora,” le dissi parcheggiando davanti alla vetrina del centro estetico e mettendole i soldi del trattamento in mano, “Fatti trovare qui fuori e non ti fare venire idee strane, o ti puoi scordare i tuoi giochetti per sempre. Soprattutto, non dire assolutamente nulla di me a nessuno. Scendi”. Anna aprì la portiera, scese e prima di chiudere, con il suo solito sussurro, mi disse due parole: “Grazie, padrone”. La vidi entrare nel palazzo, aspettai per scrupolo un paio di minuti, e finalmente, ripartii, con un peso in meno sullo stomaco.

La mia meta era un’edicola per adulti non proprio vicinissima, dove venni accolto con un sorriso dal gestore. L’uomo, sulla trentina, mi conosceva da anni e sapeva che ero un buon cliente. Tempo prima ci eravamo accordati perché mi tenesse da parte una serie di riviste, e poiché erano quasi tutte di importazione lasciavo a ogni visita almeno centomila lire. Salutandomi, tirò fuori da dietro al bancone un sacchetto, che svuotò un pezzo alla volta. C’erano due mensili italiani di S/M, un giornale anch’esso mensile di annunci erotici, e infine una serie di piccole riviste tedesche e olandesi. Queste ultime erano quelle che mi interessavano di più: le avevo scelte per i loro contenuti molto forti e originali, e alcune volte riuscivano a scioccare persino me per i loro contenuti. Due di esse trattavano di dominazione e tortura ad altissimi livelli, e vi si trovavano spesso fotografie di sederi sanguinanti per la fustigazione, dilatazioni inumane e genitali trafitti da aghi di tutte le misure. Un’altra era una rivista di pissing e coprofilia, il cui clou erano gli annunci di donne e ragazze che non desideravano altro che essere coperte di escrementi da leccare e divorare. L’ultima pubblicazione era in realtà belga, ed era improntata più che altro al feticismo. Sulle sue pagine si trovavano però gli annunci di feste e incontri bizzarri che si tenevano in tutta Europa, e mi piaceva rimanere informato e visitarne qualcuno di tanto in tanto.

Pagai una cifra mostruosa, risalii in macchina e, data un’occhiata all’orologio, mi precipitai a recuperare Anna, da cui sarei arrivato probabilmente in ritardo. Guidai maledicendo il traffico che persisteva anche in estate, e arrivai dall’estetista trovandola sulla soglia, raggiante come non mai. La feci salire in macchina, partii e, non appena ci fummo allontanati un attimo, le misi una mano in mezzo alle gambe per controllare il lavoro che era stato fatto: la sua pelle era liscia come il culetto di un bambino, e la schiava alzò con piacere il bacino per farmi toccare anche il solco fra le natiche, perfettamente depilato. “Allora, com’è andata?” le chiesi. “Bene, padrone, grazie. Appena mi sono spogliata, la ragazza che si è occupata di me mi ha chiesto dei segni, e quando le ho spiegato tutto si è messa a ridere. Mi ha detto che ha anche un’altra cliente masochista, e mi ha raccontato di lei”. “Raccontami tutto,” la interruppi, interessato alla cosa. Anna rispose come a un interrogatorio, facendo a volte brevi pause per ricordare meglio i particolari.

“È una ragazza di ventisei anni, che va a farsi depilare come me una volta al mese. Lei appartiene a una padrona che la accompagna ogni tanto, e la ragazza mi ha detto che ha sempre il sedere pieno di lividi. L’estetista dice che le sembra molto felice di essere una schiava, ma che lei non capisce come faccia una così bella ragazza a farsi fare certe cose, soprattutto da una donna”. Ridemmo entrambi, e Anna sembrò stupirsi un attimo, forse perché si rendeva conto che la vita di una schiava poteva avere momenti di felicità del tutto normali. “Erica, la ragazza che mi ha depilato, non ha detto niente altro di importante. Abbiamo chiacchierato del più e del meno, ma io… ehm… non vedevo l’ora di tornare da t… lei, padrone”. Era un piacevole lapsus, che denotava come Anna cominciasse a sentire stringersi il nostro legame. Rimanemmo qualche minuto in silenzio, dopodiché riuscii a parcheggiare senza difficoltà davanti alla nostra seconda tappa.

Si trattava di un negozio piuttosto particolare, gestito da un amico. Era piccolo, con una vetrina sola: i manichini dietro il vetro la dicevano lunga sugli interessi del gestore, per cui quel luogo era più che altro un passatempo. Con la scusa di vendere “abbigliamento giovane”, infatti, il negozio era specializzato in capi estremamente provocanti, di gusto feticistico. Al suo interno, l’aria calda dell’estate era mossa da grossi ventilatori sul soffitto, e la musica quasi assordante che vi rimbombava nei mesi invernali era grazie al cielo spenta. Ci scambiammo qualche convenevole mentre Anna restava immobile, in piedi dietro di me, e all’improvviso il proprietario del negozio sembrò ricordarsi dello scopo della mia visita. “E così questa è la ragazza che mi dicevi, eh?” la indicò con la sua tipica parlata effeminata a livelli quasi macchiettistici. “Oh gesù bambino, è proprio un disastro,” osservò mentre ne sfiorava con la mano gli abiti, “con questi stracci addosso non ecciterebbe neanche un legionario. Aspetta, guarda cosa vi ho preparato”. Da dietro il bancone comparì una scatola di cartone, dal cui interno facevano capolino tessuti sgargianti e plastica lucida. “Allora, tu di pantaloni non vuoi sentir parlare… questo è troppo frivolo… ecco,” porse ad Anna un miniabito nero, “provati un po’ questo. I camerini sono lì”.

Rimanemmo un paio di minuti a chiacchierare di amici comuni, e quando la mia schiavetta uscì dal camerino, rimasi piacevolmente sorpreso. L’abitino era di tessuto elasticizzato, e fasciava il corpo quasi da adolescente di Anna come una seconda pelle. Era un tubino senza maniche, con un colletto alto che copriva il collare. Attraverso la stoffa si vedevano chiaramente i capezzoli e persino le loro areole, e la parte inferiore arrivava appena un dito o due al di sotto delle natiche. “Cosa ti dicevo,” mi diede allegramente di gomito il negoziante, “non fa tutto un altro effetto?” Il negozio era vuoto, e ne approfittai per umiliare un po’ la ragazzina. “Allarga di più le gambe, schiava”. Anna ubbidì arrossendo, e il vestito risalì di qualche centimetro. “Siediti lì,” le indicai una sedia. Sempre più imbarazzata, la ragazza si sedette come le avevo insegnato, allargando le cosce davanti allo sguardo attento del mio amico. Le labbra vaginali, ancora un po’ arrossate per la depilazione, si potevano vedere facilmente. “Ora vieni qui e piegati sul bancone”. Anna ubbidì come un automa, e il vestitino si comportò perfettamente, risalendo senza pietà sino a mezza natica, ed esponendo le intimità più riposte della mia schiavetta.

“Questo va bene,” dissi al mio amico, impassibile di fronte allo strano spettacolo, “ma voglio anche qualcosa che le lasci i seni a portata di mano”. Sollevando un sopracciglio, il sarto bizzarro frugò nello scatolone, tirandone fuori due minuscoli pezzi di stoffa, uno bianco e uno nero. “Più di questo non c’è niente,” osservò divertito, “tu vuoi solo cose nere, vero?” Feci un cenno di assenso, e il fazzolettino bianco sparì nella scatola, mentre Anna veniva spedita a indossarlo. “La parte davanti è quella più alta, cara”. Questa volta ci volle qualche minuto in più prima che la ragazzina tornasse fuori, e quando lo fece capii il perché. Il nuovo capo era davvero osceno, ridottissimo. I seni rimanevano esposti fino alla linea dei capezzoli, e sul retro le spalline sottili si univano solo un centimetro al di sotto della parte superiore delle natiche, esponendo così l’inizio del solco. La “gonna” era alta pochi centimetri come la precedente. Anna era paonazza, e mi divertii a sentire il suo parere su quell’abbigliamento. “Mi… sembra di essere nuda, padrone,” osservò a occhi bassi. “Allora è perfetto. Lo scopo di questi vestiti è proprio di farti sentire esposta e di mostrare a tutti che razza di volgare puttanella sei”. Il proprietario del negozio le fece provare anche altri capi osceni come i precedenti, in pelle, PVC e altri materiali esotici, ma erano tutti inadatti al caldo estivo. “Se sarà ancora al mio servizio questo inverno tornerò,” lo rassicurai pagando, “le tue cose sono sempre eccezionali”.

Feci uscire Anna con il primo abito provato, per non esporre troppo i segni della fustigazione sul seno della mattina. Chiunque si fosse avvicinato alla nostra macchina avrebbe visto che non indossava le mutandine, ma il nuovo look della ragazza non era ancora completato. Per questo mi diressi in centro, verso la casa-studio di un’altra amica. Si trattava di una donna sulla cinquantina ma ancora piacente, prototipo della signora alto borghese. Mi venne ad aprire con un abito di seta colorata, capelli e trucco perfetti e, naturalmente, i tacchi alti. Questi erano la sua passione, di tipo feticistico. Mara, questo il suo nome, adorava i tacchi a spillo, e più erano alti più la eccitavano. Anche Anna, che era ancora turbata per il piccolo tratto di strada che le avevo fatto fare a piedi, davanti agli occhi dei pochi passanti, non aveva potuto fare a meno di notarli: si trattava di scarpe color pesca, tanto alte da costringere Mara in punta di piedi. I tacchi facevano onore al loro nome, e sembravano davvero punte acuminate su cui la donna si muoveva però ticchettando spensierata nella sua casa grande e ricca, dai pavimenti necessariamente di marmo.

“Allora, signorina,” si rivolse ad Anna mentre ci faceva strada verso il suo studio, “che numero porti?” La ragazza rimase un attimo interdetta, ma capì il senso della domanda non appena arrivata in quello che si sarebbe potuto definire lo showroom di Mara: una stanza circondata da due giri di scaffali su cui erano esposte scarpe di ogni tipo, accomunate solo dall’altezza abnorme del loro tacco. “Ehm… trentasette, signora”. “Allora…” borbottò fra se la strana calzolaia, “trentasette… tu vuoi il modello dell’anno scorso… trentasette… poi ti faccio vedere un nuovo arrivo che ho preso a Rotterdam… Eccole qui”. Premendole leggermente una spalla, feci sedere la schiavetta su una poltroncina, mentre guardava sbigottita le calzature che le venivano porte. Si trattava di un paio di scarpe nere, di cuoio lucido. Erano piuttosto aperte, e sulla coppa del tallone avevano, nella parte posteriore, un laccetto con un fermaglio metallico, che andava ad avvolgere la caviglia. La loro particolarità principale era naturalmente il tacco, che correva svettante per tutta la lunghezza della scarpa, lasciando solo una zona d’appoggio piccolissima, grande a malapena per ospitare le dita dei piedi, piegate all’indietro di quasi novanta gradi.

Mara si chinò ai piedi di Anna, e con gesti esperti le tolse le scarpe piatte che fino a quel momento aveva sempre indossato. “Ecco, infila qui…” le spiegò, calzando la scarpa sul piedino della ragazza e stringendo il cinturino. Per bloccarlo, invece della tradizionale fibbietta c’era un minuscolo lucchetto, che venne fatto scattare sull’anello metallico di chiusura, e rimase in evidenza sul lato esterno della caviglia. Il secondo piede subì la stessa sorte, e Mara si alzò soddisfatta: “Adesso alzati, così vediamo come ti stanno”. Anna, che ancora non aveva appoggiato i piedi a terra, sussurò un lamento. “Ma io… non posso…” Mara cambiò completamente tono, trasformandosi da allegra signora in virago inflessibile: “Non dire sciocchezze, schiava! Come vedi, si può benissimo camminare con quelle scarpe. Hai mai pattinato?” “N… no, signora” scosse la testa Anna. “Male. Ricordati di non piegare le caviglie di lato, sennò puoi farti male, e ora alzati!”. La donna prese per un braccio la mia schiavetta, e la trascinò in piedi senza tanti riguardi. Anna barcollò un attimo, e con un’espressione molto preoccupata riuscì dopo qualche sforzo a stare in piedi, immobile per paura di cadere. I muscoli delle gambe erano tesi, e la necessità di bilanciarsi la aveva costretta a spingere in fuori il sedere, trasformandola in una eccezionale bambolina sexy.

“Visto?” la schernì Mara, “Ora fai qualche passo”. Anna mi guardò con grandi occhi spaventati, e incontrando il mio sguardo obbedì tremando: fortunatamente la donna le era rimasta vicino, e quando il primo passo si trasformò in una caduta, la trattenne al volo. “Tieni rigide quelle caviglie!” In una decina di minuti quasi comici per la goffaggine di Anna, la ragazzina imparò finalmente a muoversi in maniera ragionevolmente stabile. Quando fummo entrambi sicuri che non si sarebbe rotta l’osso del collo, la lasciammo ad allenarsi appoggiata a uno scaffale, e Mara mi prese da parte, conducendomi al capo opposto della stanza. “Quelle che hai preso sono scarpe da allenamento,” mi spiegò, “con la suola e il tacco fusi in un unico pezzo di acciaio. Rispetto al modello che hai preso l’anno scorso hanno migliorato il cinturino, che adesso è anch’esso in acciaio. Vedrai, sarà un buon acquisto. Ora però guarda questi”. La donna mi mise in mano uno stivaletto di pelle nera, con la caratteristica allacciatura anteriore in cui un lungo laccio viene fatto incrociare su numerosi gancetti. “Mi sono arrivati l’altro giorno da Rotterdam,” mi spiegò entusiasta, “e servono proprio alle principianti come la ragazza. Se guardi dentro, vedrai che la linguetta non è morbida, ma ha un’anima di metallo. Quando li allacci, bloccano il dorso del piede parallelo allo stinco, e chi li indossa impara una volta per tutte la posizione giusta”. Ero affascinato ma dubbioso: prima che aprissi bocca, però, Mara anticipò i miei pensieri. “Naturalmente ora fa troppo caldo per usarli, ma questo inverno faranno furore. Vuoi prenderli subito?” Declinai l’offerta, spiegando che non ero sicuro di tenere con me Anna, e andai a riprendere la mia bambolina, che stava sbuffando per la fatica. Uscii tenendola a braccetto per sostenerla. Sulla porta, Mara si premurò di mettermi in mano, oltre a un regolare scontrino per il salatissimo conto, un vasetto di crema lenitiva da far mettere sui piedi ad Anna in previsione dei dolori che la avrebbero colta sicuramente. Il tragitto verso l’auto fu penosissimo, a piccoli passi e con qualche inciampo ogni tanto. Con quei tacchi vertiginosi, la schiava aveva la mia stessa altezza, e osservandone l’espressione compita con cui si impegnava per camminare mi venne quasi la tentazione di baciarla. “Presto ti abituerai,” le dissi spingendola in auto, e lei mi rispose con un grande sorriso.