Prima punizione con la cinghia

Interrompiamo i nostri aggiornamenti da San Francisco per una storia che un gentile lettore ci ha inviato (se volete vedere le vostre storie pubblicate, contattateci qui)

La prima volta che le presi colla cinghia

Quando ero ancora al liceo c’erano alcune materie, in particolare matematica, italiano e latino colle quali ero molto in difficoltà, e puntualmente ogni volta che i miei andavano a parlare colle relative professoresse mi prendevano a schiaffi. La scena era sempre la stessa: mio padre rincorrendomi intorno al tavolo, facendomi la predica e gonfiandomi la faccia di ceffoni, mentre minacciava di suonarmele colla frusta alla prossima occasione. Ma nonostante tutte le volte che aveva minacciato di frustarmi non lo aveva poi mai fatto, tanto che la famosa ‘cinghia dei pantaloni’ era sempre rimasta solo una minaccia molto vaga.

L’ultima volta che fu solo una minaccia fu una sera di ottobre durante la seconda liceo. I miei erano già andati a parlare un paio di volte colla professoressa di italiano e latino e con quella di matematica e il giorno successivo ci sarebbero andati di nuovo. Ricordo che quella sera dopo cena mio padre mi chiese se si sarebbe dovuto aspettare il solito rapporto negativo dalle due professoresse. Io avevo la coscienza piuttosto sporca e, pur sapendo che entrambe le professoresse avrebbero detto peste e corna di me, mentii e dissi che le cose andavano meglio in tutte e tre le materie. Ma credo che la mia risposta non fu abbastanza convincente perché mio padre mi disse:
“Lo spero per te, perché ho deciso che adesso basta. Adesso sei cresciuto abbastanza perché ti prenda solo a schiaffoni: da domani comincio a dartele colla frusta!”

La frase non mi fece molto effetto sul momento, ma un istante dopo mio padre aggiunse che quella volta mi avrebbe frustato sul serio. Capii che quella volta lo avrebbe fatto davvero e un brivido percorse la ventrale del mio cazzetto. Sapevo che il rapporto di entrambe le professoresse sarebbe stato non solo negativo ma addirittura catastrofico e mi resi conto che l’indomani le avrei prese davvero per la prima volta colla frusta.

Ricordo che andai a letto e ancora sentivo un brivido indefinibile percorrermi la ventrale del cazzetto che avevo duro come non l’avevo mai avuto nemmeno la prima volta che mi ero masturbato. Nonostante mi sembrasse tutto assurdo, mi resi conto che non potevo fare a meno di pensare come sarebbe stato. Soprattutto non potevo fare a meno di pensare come sarebbe stato il momento precedente la battitura: come mi avrebbe annunciato mio padre che stava per frustarmi; che parole mi avrebbe detto sfilandosi la cinghia dei pantaloni prima di frustarmi. E poi come mi avrebbe frustato: se sulla schiena o sulle natiche, se mi avrebbe fatto denudare, se mi avrebbe frustato in piedi o sdraiato sul letto.
E mentre, senza che potessi fare niente per evitarlo, tutte queste domande mi frullavano in capo mi accorsi che mi stavo sparando una sega: era forse la prima volta che il pensiero di essere picchiato mi eccitava. Ma quando finalmente sborrai nelle lenzuola e il cazzetto mi si afflosciò, e cominciai a vedere le cose più realisticamente. Mi misi a pensare all’umiliazione di un castigo colla frusta, alla vergogna di dovermi denudare per essere picchiato, al senso di sottomissione che implicava farsele suonare colla cinghia dei pantaloni. E poi cominciai a provare un senso di paura; cominciai a rendermi conto che se il giorno dopo mio padre me le avesse davvero date colla cintura dei pantaloni sarebbe stato un ‘precedente’. In seguito sarebbe sempre stato così fino a quando non me ne fossi andato di casa: e considerando che realisticamente non avrei potuto andarmene di casa perlomeno fino a quando non avessi terminato l’università, questo significava avere davanti undici anni in cui prenderle colla frusta. Il giorno dopo a scuola continuai a scacciare il pensiero che mi ronzava in mente, cercando di liquidarlo con un “ … ma figurati! Al massimo qualche schiaffone in più”. Con quell’ottimismo infondato da facilone che in tante altre occasioni avrebbe contraddistinto la mia vita, cercavo di nascondermi una realtà che era inequivocabile. E che infatti mi si presentò a casa dopo pranzo, puntuale come nel mio sogno/incubo della notte precedente. Verso le due e mezza mio padre telefonò e io risposi. Furono poche parole quelle che disse, ma me le ricordo ancora.
“Ho parlato con quella di italiano e quella di matematica. Stasera ti frusto!”

(segue – parte seconda)

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